Dopo la telefonata tra Trump e Putin una parte del cosidetto Occidente sembra essersi improvvisamente risvegliata da un lungo torpore per scoprire che Trump non è proprio una personcina affidabile. O meglio, che non fosse affidabile si sapeva già: dopotutto uno che fomenta un colpo di Stato supportato da gente vestita da vichingo qualche sospetto deve averlo fatto venire anche ai meno brillanti del nostro gotha politico; ma finché si limitava a minacciare di annettersi il Canada e prometteva di deportare due milioni di palestinesi le nostre classi dirigenti non sembravano esserne troppo spaventate. Certo, era sempre quel farabutto di Trump, ma anche il grande distruttore del più grande pericolo che minacciava di spazzare via l’Occidente: il woke (leggi: qualsiasi minima critica al modello di sviluppo occidentale in chiave progressista). E così, di woke in woke, neanche il susseguirsi di proposte “enormemente problematiche” sembrava in grado di risvegliare i nostri bei politici addormentati nel bosco delle frasi di circostanza. Non la pretesa di rinominare il golfo del Messico in golfo d’America, non la minaccia d’aggressione alla Groenlandia, non la rivendicazione di Panama, non “il gesto di lanciare il cuore” di Musk, non le “deportazioni-si-traduce-rimpatri” di migranti a favore di telecamera. Tutto derubricato con tono paternalistico a stravaganze di due miliardari imprevedibili (come se il fatto che alla guida della più grande potenza mondiale ci fossero due megalomani esaltati non fosse già di per sé motivo sufficiente di preoccupazione).
Tutto sommato li rassicurava, forse, l’essere comodamente seduti alla destra del pazzo, presi nella loro illusione atlantidea di reggitori del mondo, sia pure in posizione vicaria, ferocemente affannati a giudicare la validità delle elezioni in giro per il mondo secondo discutibili criteri di prossimità a loro stessi. La chiacchierata tra Trump e Putin li ha quindi gettati nel panico, non tanto per la crudele sorte a cui il magnate aranciato sembra voler abbandonare il popolo ucraino, quanto per il fatto di non essere stati alla definizione di quel destino convocati. Persa così, nel volgere d’una telefonata, l’illusione di avere una qualche rilevanza sullo scenario internazionale, le reazioni sono andate in ordine sparso: qualcuno, forse più consapevole della propria condizione, da bravo maggiordomo di lungo corso già s’accomoda senza far tante storie alle decisioni della nuova gestione padronale di quest’alto castello di carte che ha contribuito finora a mantenere in ordine; altri si lanceranno in spericolati acrobatismi, confidando che un buon circo alla fine avrà pur bisogno di un qualche performer di livello. Chi ancora fa fatica a svegliarsi dal sogno per accettare l’incubo, vaniloquia nella prigione di un vocabolario senza nessun riscontro con la realtà, preparandosi a sostituire Putin con Trump in un frasario che non permette rinnovamenti linguistici, figuriamoci concettuali. Orfani di un padre improvvisamente rilevatosi padrone, non hanno più da appellarsi neanche a organismi sovranazionali che per un anno e mezzo hanno contribuito assiduamente a smantellare per permettere a un altro criminale di continuare impunemente a trucidare bambini per il nobile fine di costruirsi una villetta vista mare (il grande Satana pel di carota ce lo ha rivelato quindi oggi lo possiamo dire senza tema d’accuse d’antisemitismo). Prepariamoci quindi a nuove lamentazioni su moderni patti Molotov-Ribbentrop, spartizioni, hitlerismi vari a ruoli intercambiabili e tutti i corollari da seconda guerra mondiale che possono tornare utili per l’occasione.
Ma archiviata questa rassegna del grottesco, forse, è un altro il punto che ancora non riusciamo ad affrontare. Specifichiamolo, perché non sia mai, in quest’epoca di rossobrunismi a spruzzo con un tasso di precisione inferiore al cinque per cento, che il concetto non sia abbastanza chiaro: Trump e Musk sono un pericolo per la democrazia e per l’intero ordine mondiale ed è probabile che, a breve, un modo per fermarli bisognerà pure trovarlo. Ma quella di accollare a Trump, a Musk, o a Putin, l’intera responsabilità di un’eventuale fine del mondo, non è forse l’ennesimo rifugio comodo in cui stiamo cercando di nasconderci per evitare di affrontare la situazione? A me pare l’ennesima illusione con con cui cerchiamo di raccontarci che, rimosso il Trump o il Putin o il Netanyahu del caso, improvvisamente il problema smetterebbe di esistere e tutto tornerebbe normale, dove con normale intendiamo un mondo in cui neanche le crisi di questi giorni riescono ad intaccare gli ascolti di Sanremo (no, non ce l’ho con quelli che guardano Sanremo). Quanto possiamo ancora trastullarci con questa incessante reductio ad Hitlerum di ogni evento che si affaccia minaccioso sul panorama internazionale? Siamo davvero sicuri, per rimanere al tema della telefonata, che gli USA non si stessero preparando ad abbandonare l’Ucraina in ogni caso, al netto di alcuni abbellimenti retorici in tema di pubbliche relazioni che un presidente diverso avrebbe potuto escogitare?
Capisco la difficoltà di dover metabolizzare la scoperta che la storia non fosse affatto finita, e che in realtà si trattava solamente di una lunga pausa pubblicitaria per venderci un po’ di merchandise di pessima qualità ma, adesso che è iniziato il secondo tempo, possiamo abbandonare quest’idea che il mondo sia una rappresentazione in grande scala di un film della Marvel dove cattivi cattivissimi e buoni buonissimi decidono le sorti del pianeta? A margine, neanche la Marvel fa più i film così, credo che forse possiamo smettere anche noi di considerare la storia come il prodotto del ghiribizzo di quattro oligarchi e prendere coscienza che le biografie e i profili psicologici dei napoleoni, giulicesari e alessandrimagni di turno da soli non bastano a spiegare l’evolvere degli eventi. Possiamo tornare a guardare, o se non altro provare a guardare, i processi storici in atto? A cercare, quantomeno, di mettere a fuoco, se non proprio ad affrontare, le forze profonde, i mutamenti globali che muovono il presente? E a ragionare di come siano questi processi a produrre i Musk e i Trump (e tutti gli altri) e non il contrario? Possiamo fare almeno lo sforzo di provare a chiederci che cosa ci ha portato a guardare spaventati la possibile fine del mondo dall’impotente finestra di un social piuttosto che dalle barricate di una piazza?