FENOMENOLOGIA DEL NEGAZIONISTA CLIMATICO

Davanti agli eventi di questa settimana i negazionisti climatici, invece che andare in difficoltà, si sono manifestati in tutta la loro potenza. Ma non sarebbe corretto assommare in una parola comportamenti anche molto diversi tra loro. Segui quindi una piccola casistica dei tipi di negazionisti. SEMPERFATTISTA Per lui tutto è sempre stato così: ha sempre fatto caldo, ha sempre fatto la grandine, i monsoni milanesi sono più tipici del risotto; anche davanti alla sua macchina che sembra sopravvissuta a malapena a un checkpoint israeliano, lui è pronto a scartabellare negli archivi per dimostrarti che nel cinquantotto in Guatemala c’erano chicchi di grandine più grandi di così. Di notte lo potresti trovare a lanciare blocchi di ghiaccio dal cavalcavia nel tentativo di dimostrare che c’è di peggio. HASTATISTICO Può presentarsi come evoluzione del primo tipo o manifestarsi direttamente in questa forma. Nell’impossibilità di negare direttamente il cambiamento climatico, passa le giornate a torturare i numeri sperando di ricavarne un grafico che gli permetta di dare la colpa a qualcun altro (preferibilmente i cinesi, ma l’importante è che sia stato qualcun altro). Quando le serie storiche, anche a fronte delle torture, si rifiutano di dargli ragione, si lancia nelle proiezioni sul futuro realizzate interpolando i dati di temperatura di Salcazzo di Sotto con la percentuale di burro nei biscotti per dimostrare che è tutta colpa delle batterie ricaricabili. CLIMAT CAVIAR Dal suo attico climatizzato a 18° gradi non rileva cambiamenti significativi delle temperature; al massimo rileva un leggero aumento dei prezzi di manutenzione dei condizionatori. Niente che non si possa risolvere con un’ulteriore liberalizzazione del mercato o, al limite, con la reintroduzione della schiavitù. sovranista climatico Pretende di combattere il caldo africano con le stesse tecniche con cui vuole combattere gli africani. È convinto che con un bel blocco navale e dei grossi ventilatori montati sulle motovedette possiamo invertire le correnti. In caso contrario, ha già pronto il piano B: un bel muro al centro del mediterraneo che consenta l’ingresso solo ai venti che abbiano davvero voglia di contribuire al benessere di questo paese. riscaldofilo È rimasto intrippato dieci anni fa su quel meme fintocinese che dice che ogni crisi è anche un’opportunità e sì è convinto che il riscaldamento globale sia una manna dal cielo: basterà riconvertire i vigneti a papaya e spostare le vacanze estive a febbraio. È affascinato dalla possibilità di coltivare i pomodori in Siberia e in Groenlandia ma visto che vive in Puglia da due anni prova a capire come fare le orecchiette con le cime di cactus. disallarmista È convinto che sia tutto un problema di comunicazione: per risolvere il problema del riscaldamento climatico basterebbe cambiare la palette dei colori delle cartine del meteo, evitare di misurare la temperatura al suolo, smettere di fare confronti con gli anni precedenti, aspettare due ore prima di fotografare i chicchi di grandine e spostare di dieci gradi indietro le scale dei termometri. Il suo hobby preferito è smontare gli antifurti dalle auto nei parcheggi dei supermercati. Da quando ha smesso di guardare le classifiche ha già festeggiato sei scudetti, tre champions e quattro coppe italia. climatrollogo Ha studiato il clima sul manuale delle giovani marmotte ed eseguito dei complicatissimi calcoli nella sua cameretta, inspiegabilmente rifiutati da tutta la comunità scientifica, che dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che non ha la più pallida idea di che cosa sia la climatologia. Se non riuscite a cogliere l’evidenza dei suoi studi rivoluzionari è solo perché non siete abbastanza intelligenti, non avete le giuste competenze scientifiche, siete parte del sistema oppure non vi siete ancora sottoposti a una lobotomia frontale. prosuver Va bene l’aumento delle temperature, lo scioglimento dei poli, i tornado di provincia, le alluvioni settimanali, i black out energetici, va bene tutto ma l’importante è che lui possa continuare a sgasare in centro col SUV e a stirare le marce e i passanti per sconfiggere la dittatura ciclopedomassonica che vorrebbe imporgli il limite di trenta chilometri orari nei centri abitati o (addirittura!) il passaggio all’elettrico che gli impedisce di fare brum bruuuum! Lo trovi schierato in prima linea contro l’insopportabile frastuono dei tram. troppotarder Il troppotarder si manifesta di solito come stadio finale di evoluzione di diversi tipi di negazionista visti in precedenza. Dopo aver passato anni a combattere, ha finalmente accettato la sconfitta e raggiunto quella sciroccata pace interiore con cui prova a convincerti che bisogna abbracciare l’Apocalisse, magari usando un paio di guanti da forno perché comunque l’Apocalisse scotta. loltrista Forse non il più sveglio, ma sicuramente uno dei negazionisti che fa più ridere (pare che il nome venga proprio da LOL, anche se esistono altre ipotesi). Con notevole sprezzo del ridicolo e anche dei principi elementari della logica, riesce a sostenere contemporaneamente tutte le posizioni precedenti, a volte addirittura nell’arco della stessa conversazione con frasi del tipo: non c’è nessun cambiamento climatico, che comunque è tutta colpa dei BRICS e se non facciamo subito il nucleare sarà un disastro, al quale ci adatteremo senza alcun tipo di problema. Qui la seconda parte.Qui la terza parte.Qui la quarta parte.

SDS#96 – IL CLIMA DEL DIBATTITO

Alla fine se vuoi negà ‘na cosa, lo farai a prescinde dalla realtà. ”Ha sempre fatto caldo!”, sì ma quanto caldo? Caldo, non serve misurallo, basta allarmismo è l’allarmismo che te fa sudà! Certo, Roma ha toccato la temperatura più alta dai tempi de Nerone ma de sicuro la colpa è der colore delle cartine del meteo. Perché er meteo lo sa, vede la cartina tutta rossa e se ingarella, mo ve lo faccio vede io fino andò posso arivà co’ le temperature. È na guerra psicologica, cor meteo, devi uscì cor piumino a 40 gradi e di’ aho ammazza che arietta, tiè, er termometro della machina segna solo 41 gradi mo quasi quasi accenno i riscaldamenti; e allora ecco che er meteo se spaventa, mecojoni che impunito, mo quasi quasi scendo. Che poi a parte i casi singoli, so’ dieci anni che stamo a batte tutti i record e le medie da quanno misuramo la temperatura, e a te ancora te servono i dati perché boh, però me ricordo che nonno nel 58 diceva che faceva caldo solo che sur cinquino non ciaveva er termometro? Boh guarda, certe volte me verrebbe da piatte a schiaffi, ma no pe’ na cosa de violenza ma a scopo scientifico: aho ma che m’hai dato no schiaffo? Quale schiaffo? Boh a me non ma pare, non me sembra, ma sei sicuro che non era no schiaffo percepito? Cioè tu l’hai percepito e io no, è na questione soggettiva. Vabbè, ma mo anche ammesso che era no schiaffo, quanto schiaffo era? Sei sicuro che non era un fenomeno isolato? Io analizzerei er tempo de ritorno de ‘sto schiaffo, tipo… Sbam! Ahio, mo però so’ due! A me me sembrano sempre schiaffi percepiti e li percepisci solo tu, ma comunque, anche due, non me pare un clima da schiaffi! Cioè non è come quella volta ar bar quanno sei entrato urlando che i Maneskin erano mejo dei Pink Floyd. O quella volta che ce volevi convince che Renzi era de sinistra? ner 2018? O quando eri convinto d’ave trovato na caramella co’ la droga? O Vox che doveva arivà al 30%? P l’altro giorno che volevi fa’ lo spiegone su Barbie? O quella vorta der meteorite? Là si che volavano schiaffi. Perché tanto qua non ce sarva manco il meteorite, pure arivasse e se dovessero sarvà dieci persone, due starebbero lì a di’ ma sei sicuro che fosse proprio un meteorite? secondo me era er barbecue der vicino che ha esagerato co l’arosticini! Senti che puzza de carne bruciata!Ma sì ma è tutto normale, voi mette co’ la concentrazione de CO2 der Cambriano? Avoja se me la ricordo… ma che c’entra? Vuoi tornà ar Cambriano? Vuoi fa na transizione ecologica verso er verme de mare? Mo non è che te posso venì dietro solo perché tu stai già a buon punto! Comunque ce stanno pure quelli che dicono che er clima va avanti a cicli de quattrocento anni: basta che aspettate quattrocento anni e tutto torna a posto. Mica ciavrete fretta?  

SDS#95 – D’INCIDENTE MUORE

Lentamente muorechi diventa schiavo dell’abitudine,ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,chi non rischia e cambia colore dei vestiti,e muore all’improvviso chi la vita la rischiatutti i giorni solo per poter lavorare. All’improvviso muore chi cade in una cisternae viene soffocato dalle esalazioni,All’improvviso muore una ragazzarisucchiata da un macchinario a cuisono stati manomessi i dispositivi di protezioneper produrre di più, più velocemente.All’improvviso muore chi viene investitoda un camion durante un picchetto di protesta,chi si schianta precipitando dentro il vanodi un ascensore,All’improvviso muore chi viene travoltoda una lastra d’acciaiodurante l’alternanza scuola lavoro. All’improvviso muorechi non ha diritti,chi non ha tutele,chi non ha fatto i corsi di sicurezzao li ha fatti tanto per,giusto per aderire a un obbligo di legge. All’improvviso muore chi viene schiacciatoda un mezzo industrialeal suo primo giorno di lavoro e muoreall’improvviso un operaiodi settant’anni cadendo da un ponteggio.Muore all’improvviso chi lavora in nero.Muore all’improvviso chi lavora nei campie gli si spacca il cuore per la faticaper pochi euro l’ora,Muoiono sette operai bruciati vivi,dopo un turno di dodici ore,perché non valeva la penainvestire sulla sicurezza. All’improvviso muore chi esce la mattinae non lo sa, che non tornerà a casa,e pensa soltanto che si sta guadagnandoun pezzo di pane.Ma tu non ci pensare,bevi tanta acqua,non uscire nelle ore più caldee lavora fino a sessantasette annisotto il sole.

SDS#94 – I MASERABILI

Forse non è il più grave (sotto diversi aspetti), ma quello della Maserati in prestito ai Carabinieri è forse il più emblematico dei vari episodi della settimana. Certo la Maserati ministeriale non si staglia nel tenue bagliore rossastro di un’insegna dell’Alabama come la 73 Bora di Bobby Western nell’ultimo romanzo di McCarthy, ma più prosaicamente contro un banale cartello di divieto di sosta del Comune di Milano. Non ha quella stolida immobilità dello sguardo del Ministro Sangiuliano mentre realizza di aver appena affermato davanti alle telecamere di non aver letto nessuno dei libri per cui ha appena votato come giurato del premio Strega; né la sfacciata sincerità di uno Sgarbi che, improvvisando un memoriale sulla prostata e i suoi record di scopate ricorda, in un attimo di rara lucidità che il ruolo per il quale è ingaggiato, con un certo successo da quarant’anni a questa parte, è quello di personaggio; neanche mostra la scaltra e finta ingenuità di un La Russa che, nell’esprimere piena fiducia nella magistratura, si premura d’anticipare l’esito di indagini e processo e n’approfitta per lanciare sottintese accuse alla dubbia moralità della vittima; ricorda forse di più la follia compulsiva dei passeggeri della Crociera extralusso 7NC con cui è costretto a interagire D. F. Wallace e che spinge Mona a inventarsi una finta data di compleanno per aver un surplus d’attenzione fatto di bandierine e un pallone a forma di cuore. Mona che, quando poi lui osserva che in realtà il vero compleanno di lei coincide quello di Benito Mussolini (tra gli sguardi di morte della nonna), si dimostra invece tutta eccitata per la coincidenza, avendo confuso, a quanto pare, Mussolini con Maserati. (E viene facile da pensare che oggi quella stessa identica reazione di vaga frenesia così come manifestata da Mona l’avrebbero molti rappresentati del governo in carica se solo il fraintendimento avvenisse a termini invertiti). La Maserati diventa così, come sulla 7NC, lusso pret-a-porter di un tour d’ostentazione coatta, rigorosamente a nolo ma pagato coi soldi dell’azienda già in difficoltà, messo a disposizione di uno Stato il cui compito è certificarne soltanto la status di potente maserabile. Un potere che è sempre più concentrato sull’auto-celebrazione del proprio status, così centrato sul proprio bisogno di sentirsi leccare il culo che, di fronte alle difficoltà materiali di una realtà che suggerisce tutt’altro, è perfino disposto a fornire personalmente la saliva per l’operazione.

IL MANUALE DELLA NON MOLESTIA

IL MANUALE DELLA NON MOLESTIA Premessa. Tutte le volte che un maschio inizia a parlare di stupro e annessi è necessario fare una serie di premesse: la prima che mi sento di fare è che, a margine dell’ennesimo fatto di cronaca su cui, di fatto, non sappiamo niente, si sono scatenate una serie di reazioni pavloviane da cultura dello stupro e victim blaming su cui c’è tanto da dire, ma sicuramente è stato fatto molto meglio di come potrei fare io quindi, semplicemente mi accodo e quello che scriverò di seguito va inteso come integrazione e non come contrapposizione a quei discorsi (ovvero: non è possibile nessun discorso ulteriore se prima non partiamo dal riconoscere che uno dei discorsi reazionari dominanti è, ancora oggi, quello della colpevolizzazione della vittima). La seconda premessa è che in quanto maschio forse sarebbe più saggio stare in silenzio ed ascoltare, epperò credo come maschio ci siano un paio di cose da dire su alcuni discorsi secondari che intravedo, roba che definirei il piano B dei maschietti, e che mi sembrano comunque subdolamente pericolosi anche se in maniera diversa (il che non vuol dire che alcuni di questi discorsi non siano portati avanti anche da persone di sesso femminile: restano comunque discorsi maschili) e quindi, visto che saggio non lo sono mai stato, mi accollo il rischio di provare a ragionarci sopra, da maschio. Fatte queste premesse, e fatti salvi gli accidenti specifici del caso che nulla aggiungono al discorso generale, la domanda è, depurato il discorso di tutte le posizioni reazionarie che si collocano grosso modo al livello culturale di un lanzichenecco durante la razzia di un villaggio, se resta nel rumore di fondo qualcos’altro su cui indagare; e mi pare, questa volta come altre, che tutta una serie di “battute” più o meno infelici e provocatorie sul consenso e sulla validità del consenso siano anche la spia di qualcos’altro. Sia chiaro, molto spesso non c’è veramente nulla di diverso dai discorsi sulla colpevolizzazione posti in premessa, o dal richiamo a un imprecisato stato di natura in cui le cose sono sempre state così. Credo però che, oltre a questo, inizi a emergere un secondo tipo di discorso pubblico (che assumerò per ora come fatto in buona fede) che però mi pare sottilmente ma ugualmente pericoloso: per brevità lo chiamerò piano B dei maschietti o anche discorso normativo. Il retropensiero che sta dietro i “finti contratti sul consenso” condivisi online non è soltanto quello di screditare e inficiare la libera volontà della donna ma anche quello di ristabilire il significato di consenso/molestia/stupro attraverso un processo definitorio, delimitativo, in un discorso che è appunto di tipo normativo e che, quando è fatto in buona fede, potremmo riassumere così: ok, io rinuncio al mio ruolo di predatore sessuale perché ho capito che è sbagliato, ma mettiamoci intorno a un tavolo e stabiliamo in maniera condivisa che cosa va considerato molestia e cosa no, cosa va considerato stupro e cosa no, quello che posso lecitamente fare senza sentirmi/comportarmi come un predatore sessuale, quello che mi è vietato in quanto maschio e quello che invece è considerato accettabile. È un discorso che ho visto spuntare con una certa regolarità ogni volta che viene messo in discussione un singolo comportamento (il catcalling, l’apprezzamento sessuale, eccetera) e che quando non è fatto in malafede sembra avere anche una sua apparente ragionevolezza: una specie di catalogo degli atti leciti, un manuale finalmente definitivo della non molestia entro cui inquadrare e deresponsabilizzare il singolo episodio. Insomma, pur non trincerandosi dietro una fantomatica cancel culture per la quale “non è possibile più fare niente”, si cerca rifugio in un più politicamente corretto “ok, dimmelo tu quello che posso e non posso fare e mi adeguo.” E quindi stabiliamo, di volta in volta ma in maniera lapidaria, che il catcalling non si fa, che chiedere a una propria dipendente di uscire non è opportuno, che in generale non sono opportune relazioni sentimentali sul lavoro tra persone che hanno qualifiche differenti, che l’apprezzamento con vaghe (sì ma quanto vaghe?) allusioni sessuali in contesti lavorativi è da evitare, fino al paradosso del contratto che pretende di chiarire preventivamente quali sono i limiti del consenso, per quali pratiche e con quali durate (che potremmo derubricare a paradosso-boutade se ad esso non fosse ispirata una puntata di black mirror, se qualcuno non avesse provato qualche anno fa a trasformarlo in un’app nel mondo reale e se diverse leggi non concentrassero il tutto sull’esplicitazione del consenso e alcuni non provassero a trasferire quello che è un approccio legislativo al campo culturale). In tutto ciò, come in altri settordicimila situazioni, assistiamo alla grande magia del mondo contemporaneo: la sparizione del contesto. Io non credo che questi discorsi siano sbagliati: mi pare solo che qualcuno, non so quanti in mala e quanti in buona fede, stia cercando di farlo atterrare su un altro territorio. Ora io credo che chiunque abbia avuto la necessità di doversi accoppiare carnalmente con un altro esemplare del genere umano sa che l’approccio “che vuoi scopà?” ha un’efficacia molto marginale a meno di non trovarsi dentro la trama di un film porno e che, nel prolungato intermezzo che passa tra l’elezione di una persona a possibile partner sessuale al momento effettivo in cui tale accoppiamento si materializza o si riduce a pura fantasia irrealizzabile esistono una serie di gradi di approssimazione in cui è sempre possibile che il proprio desiderio si incontri e si scontri col desiderio dell’altro, esponendo ognuno di noi a più o meno imbarazzanti fraintendimenti. Così come chiunque di noi abbia anche solo visto Pulp Fiction credo riesca a cogliere che un massaggio ai piedi può essere una cosa che non è niente, che fai a tua madre, come anche qualcosa che ti fa fare un volo di quattro piani perché forse non è lo stesso fottuto campo di gioco, non è lo stesso campionato e non è nemmeno lo stesso sport ma è una cosa che a un uomo (dove nel film … Leggi tutto

SDS#93 – ELONIO FUNEBRE

La fine de ‘sta settimana s’è consumata nella piccola isteria twitter dovuta all’ultima genialata del re dei troll Elonio che, così de botto e senza motivo, ha deciso de inserì er twitterlimit: pòi vede ar massimo quattrocento tweet ar giorno, che poi so’ diventati seicento, che poi so’ diventati mille perché Elonio ormai contratta che manco un venditore de tappeti. Che a margine, ciavrebbe senso se armeno non fosse che la metà de questi so’ un tweet de Polito. Ora, potremmo pure discute della geniale strategia commerciale che punta a limità er tempo che i tuoi utenti passano sulla tua piattaforma, se questa non fosse sortanto l’ultima trollata de un megalomane che ambisce ar titolo de miliardario più purciaro dell’universo. Diciamo pure che le premesse non erano state delle migliori: dopo l’arrivo in ufficio cor lavandino, er licenziamento a capocchia de metà der personale, compresi quelle che dormivano in ufficio pe’ “raggiunge gli obiettivi”, ce potevamo aspettà quarcosa de diverso?La spunta blu è diventata “er distintivo da amichetto de Elonio”, che più artro certifica l’idiozia de pagà 15 euri ar mese per superà er limite de 280 caratteri che letteralmente tutti avevano capito come superà da armeno dieci anni, banalmente mette un tweet appresso all’altro. Un po’ come quelli che trent’anni fa se compravano la casa a Monti perché je piaceva tanto lo spirito artigiano e popolare der quartiere e poi dopo quarche tempo se lamentavano che però er quartiere non era più popolare e artigiano come un tempo, cioè prima che arivassero loro. (per chi non è de Roma, na massa de cojoni assortiti che potremmo riassume ner termine “wannabe fighetti” era corsa a comprà casa facendo schizzà i prezzi e cacciando de fatto i residenti storici che me po’ sta pure bene basta che dopo non vieni a piagne che non è più come prima). Così, dopo avé fatto tutto pe’ trasformà twitter nella brutta copia de facebook (ormai ce mancano solo i gruppi “te lo regalo se hai la spunta blu”) viene er dubbio che er genio Elonio ha comprato twitter co’ un obiettivo preciso: fallo diventà na fogna o ammazzallo. E naturalmente mo tutti se lamentamo e, naturalmente, lo famo su twitter. Tutti che se ne dovemo annà, ma stamo su twitter. Tutti che così le cose non pònno annà avanti, ma le cose vanno avanti e ce ne famo na ragione e me pare la migliore allegoria de la società contemporanea: tutti consapevoli che le cose non funzionano più, ma nell’incapacità generale de mettese d’accordo su quale potrebbe esse quella valida fra le varie alternative disponibili, tutte restamo incatenati nella stessa trappola. La finisco qua sennò ve brucio tutte le visualizzazioni io.

SDS#92 – TUTTA COLPA DEI PACIFISTI

Pe’ un giorno er monno è rimasto cor fiato sospeso appresso alla gesta de Evgenij Prigozhin, il partigiano. Naturalmente prima ancora de capì che era successo già era partito er circo delle tifoserie. Così er compagno Prigo è passato da macellaio de Bachmut a rivoluzionario della libertà e ha puntato dritto verso Mosca pronto a deporre Putin. E ce sarebbe pure riuscito, fra gli applausi entusiasti dei NAFO, se non se fossero messi de mezzo come ar solito i pacifisti. Fino a Rostov era annato tutto liscio, occupazione militare come da copione e un paio de video da tiktok che spaccano. Inizia l’avanzata e manco è partito che viene raggiunto da un tweet critico de Luca Telese, segno evidente che i pacifisti vojono più bene a Putin che a lui. Ma lui non se scoraggia, se batte contro l’esercito corrotto russo, de cui lui è solo incidentalmente uno degli esponenti più sanguinari, i liberali russi già lo appoggiano e pure pe’ quelli italiani è già diventato un punto di riferimento fortissimo. Cosa pò annà storto?Subito dopo arriva Daniela Ranieri, lo promuove a editorialista del Foglio e lì Prigo va in confusione: ma me sta a prende per il culo o dice sul serio? Così telefona in redazione, cerca er traduttore, fatte spiegà quella storia del carro e der vincitore, un sacco de tempo perso.E mo? Certo la situazione è drammatica, i pacifisti proprio non rassegnano ar fatto che lui è il nuovo liberatore della patria, i fedelissimi provano pure a levaje twitter ma lui sta più a rota de Calenda e se infogna a legge tutto l’hashtag cor nome suo. Ner frattempo riesce ad abbatte tre o quattro elicotteri russi tipo zanzare anche se non riesce a schivà i thread de Nico Piro e i tweet sarcastici dell’altri pacifisti.  Ma lui continua, imperterrito. Ormai è arrivato a no sputo da Mosca. De trecento chilometri ma comunque no sputo. Nessuno sembra in grado de stoppallo quando succede l’imponderabile: er silenzio de Conte. E mo come farà a conquistà er Cremlino senza l’appoggio dei 5S? La notizia in realtà già circolava dalla mattina e tre quarti della Wagner avevano disertato. Ora che è confermato scoppia er panico. Mo capisce perché Putin non ha fatto un cazzo pe fermallo, ciaveva i pacifisti imboscati pronti a pugnalarlo alle spalle, er discorso della mattina era un messaggio in codice! Cazzo quante ne sanno sti pacifisti, una più de lui. Che fare? I soldati sembrano vacillà, lui prova a scuoterli: aho, ma mica v’ha fatto l’auguri Salvini! Così, dopo na grattata collettiva, la cosa viene messa ai voti: Cremlino o morte! Vince, de poco, Cremlino. Se prosegue, ma proprio in quer momento ariva la telefonata de Lukashenka.Prigo cambia faccia. Ascolta per un po’ e poi dice a suoi: è finita, se ne tornamo a casa. Ma che è successo? Niente, m’ha detto coso che pure Stacce dice che so’ un nazista… regà, non je la potemo fa. Però Luk c’ha un loft a Minsk dice che se se strignemo c’entramo tutti.E così pure Prigozhin se converte ar pacifismo, dice io torno indietro pe evità spargimenti de sangue, in fondo io so’ sempre stato un pacifista, pacifista mercenario, cambio orientamento su commissione, aho ma non è che è ancora disponibile quer posto da editorialista?

SDS#91 – CERA UNA VOLTA

C’era una volta, in una galassia molto molto vicina, che anzi me sa che era proprio questa, c’era un regno de fantasia che pe’ non urtà la sensibilità de nessuno chiameremo Pirlusconia. Pirlusconia era un piccolo regno feudale col classico governo monocratico ispirato alla sacra triade Dio, Patria, Famiglia; il sovrano però, conoscendo i propri sudditi, aveva preferito declinarla in una versione più concreta e appetibile e cioè soldi, calcio e figa. I soldi, come nuova religione e unico metro del successo, erano misura d’ogni valutazione morale dell’individuo. In questo i pirlusconiani erano un popolo strano: per lo più morti di fame come molti altri popoli, credevano però di potersi arricchire urlando “comunisti merda!”. Saldi in questa fede, continuavano a lavorare per una miseria con la quale compravano abbonamenti tv, assicurazioni, case e altri servizi offerti dal Sovrano Re Cerone Primo, che così si riprendeva così i suoi soldi con gli interessi ed era l’unico ad arricchirsi realmente. Il calcio, o meglio il tifo calcistico per la nazionale, condensava tutto lo spirito patrio del pirlusconiano medio, che biascicava orgoglioso l’inno con cadenza quadriennale per poi il giorno seguente mettersi alla ricerca dei più ingegnosi modi per fottere lo Stato. La figa era invece virtualmente profferta a rete unificate (sempre di proprietà di Re Cerone), affinché le donne ricordassero la loro subalterna posizione di quasi-oggetto e gli uomini permanessero in un indefinito stato desiderante ostacolato dalla propria povertà; povertà che continuavano a combattere urlando “comunisti merda”. La figa non virtuale era appannaggio del sovrano, che vi si dedicava con gran dispendio d’energie, danari, pompette e incarichi di partito, tanto che spesso capacità politica ed erotica tendevano a confondersi. Cerone contribuiva così, per sottrazione d’occasioni, a mantener saldi i sudditi nel sacro vincolo della fedeltà coniugale, come s’addice alla famiglia etero-tradizionale, cornificata solo nei limiti delle proprie capacità economiche in ossequio alla fede nel dio denaro. Nel reame tutto viveva in una calma gioiosa che in realtà della calma aveva solo l’apparenza: i sudditi, che tutti dipendevano dalle emanazioni del sovrano, erano quotidianamente impegnati (dal primo dei vassalli all’ultimo dei servitori) in una guerra fratricida: ognuno affilava il sorriso nell’attesa di pugnalare il proprio superiore e scalare così la piramide dei favoriti, sempre guardandosi le spalle dai tentativi altrui di riservargli lo stesso trattamento. Finché un bel giorno (ma non per i pirlusconiani) il sovrano crepò.  E lì, nel lungo lutto mensile proclamato nel regno, le diverse tribù che il sovrano aveva miracolosamente tenuto assieme, esplosero come l’ex-jugoslavia dopo la morte di Tito (proprio quel Tito, non quello della strada, lo dico affinché nessuno faccia confusione). Al margine del funerale solenne, mentre tutti s’affannavano a baciare la mano del vecchio capitano reggente, un orecchio esperto avrebbe saputo già individuare le piccole dissonanze sciolte all’interno del cordoglio gnaulante elargito alla nazione in diretta tv. Già veniva meno la sguaiatezza tipica con cui i pirlusconiani erano soliti rispondere a qualsivoglia critica e s’affacciava invece quel sentimento livoroso e passivo-aggressivo di chi sente minacciata la propria esistenza dagli smottamenti (interni ed esterni) del nido. Così pigola il pirlusconiano che spreme gli occhi a favor di telecamera per mostrare non tanto il dolore quanto la sua capacità di fingersi addolorato, capacità finalmente di nuovo disponibile sul mercato per quanti fossero interessati a noleggiarla. E nel frattempo guarda con diffidenza il pirlusconiano accanto, paonazzo, che urla e vuole il sovrano canonizzato per acclamazione, sperando in un processo osmotico che condoni i suoi peccati attraverso la purificazione del sommo corpo putrescente. Santo lui e santa la sua gente! Un altro, affezionato forse a condoni più terreni, si domanda: Me ne vado adesso o resto fino a quando non saranno liquidate le quote dell’eredità? E questi neoaffliti chi sono? Che vogliono? Perché se molti fremono per lasciare la nave altrettanti sperano di cannibalizzarne il relitto. Attorno, contriti e famelici, s’aggirano gli sciacalli che puntano al patrimonio del sovrano: a chi andrà il suo potere? A chi i soldi? A chi il calcio? A chi la fica? C’è margine per un nuovo sovrano, o anche solo per una quota parte di sudditi? Quale vassallo devo ammazzare? E i feudatari stretti intorno alla bara in difesa del proprio privilegio, li ringraziano per le condoglianze cercando di capire se la morte dei loro pari dara loro maggior potere o aprirà la strada a nemici più potenti, con i quali non sanno ancora se combattere o negoziare. E altri ancora in cerca di traditori, che scovare un traditore è dimostrazione inoppugnabile di fedeltà, anche quando il tradito è morto, qualcuno di sicuro saprà riconoscerla e ricompensarla. Gli eredi sono già saldi sul trono, Nerona e Cerume, la successione non sembra in pericolo. E i successori, come tutti i successori, magnificano la grandezza del sovrano per sottolineare la potenza di chi ha saputo superarlo, cioè loro stessi medesimi, lasciando che i cani e gli sciacalli si contendano gli avanzi di un bottino che hanno già tratto in salvo. Tutti insieme ripetono, a intervalli regolari, il ritualistico “comunisti merda”, affinché il pirlusconiano comune non s’accorga del grand guignol che si consuma attorno al cadavere, e possa così attendere fiducioso l’approssimarsi del giorno in cui sarà ricco. E se trovano uno in silenzio, o peggio ancora che ride di tutto questo circo insensato, subito lo prendono e lo lapidano in piazza e lo offrono in sacrificio alla memoria del sovrano, che sarà finalmente memoria condivisa una volta rimossi tutti quelli che non la condividono.