FENOMENOLOGIA DEL NEGAZIONISTA CLIMATICO /3

Continua la catalogazione dei negazionisti climatici. Altri dieci piccoli esemplari avvistati questa settimana.  ininfluencer Non è che non crede nel cambiamento climatico, non crede nelle soluzioni: qualunque cosa gli proponi per lui o è inutile o è impossibile (a volte tutte e due le cose insieme) e in ogni caso non hai nessuna possibilità di influenzare il processo in corso. Le macchine elettriche esplodono, le pale eoliche producono microplastiche, il fotovoltaico costa troppo, la raccolta differenziata la mischiano di nascosto dopo la raccolta, nella cacio e pepe ci aggiungono il latte, inutile che compri lo smartphone fuori dall’autogrill che poi a casa ci trovi il mattone… no aspetta, questa è vera, che anche l’orologio rotto due volte al giorno ci azzecca. centralinivoro Il suo negazionismo climatico si nutre di colonnine meteorologiche, di cui va a caccia al grido di “usciamo dal meteo!”. È convinto che ci sia un complotto per piazzare le stazioni di rilevamento nei punti più caldi della città e falsare così le misurazioni. Passa le giornate a esplorare i dintorni delle colonnine in cerca di scarichi di condizionatori, pizzerie, barbecue, torte di compleanno con più di trenta candeline accese. Calcolando che nel mondo ci sono oltre centomila stazioni meteo attive, non credo che ce ne libereremo tanto presto. lvista Per il LVIsta ogni evento estremo era la dimostrazione del ventre molle dell’Europa e della fiacchezza delle risposte messe in campo contro il cambiamento climatico. Cosa che assolutamente non sarebbe accaduta se ci fosse stato ancora LVI, che bonificava le paludi con lo sguardo. Un tempo sognava fantasmagorici scudi spaziali contro il perfido Albedo, ora è diventato negazionista da quando sono andati al governo gli eredi di LVI. Da allora i tornado arrivano in orario. Di questo negazionista esiste anche la versione parody, dove LVI è Renzi. climacottaro Da dove vengono le false copertine dei giornali sulla prossima era glaciale? O le finte cartine meteo del passato? Ma che c’è uno dietro che le fabbrica? La risposta è si ed è lui: il climacottaro. Se la realtà non ti aiuta nella tua campagna negazionista, il climacottaro può fabbricarti una realtà alternativa, ritoccare titoli di giornali, decontestualizzare testi, photoshoppare foto. Molto ricercato in passato per le sue competenze ora rischia anche lui di estinguersi: non a causa del climate change ma per colpa dell’AI, che può produrre le stesse bufale ma a una velocità molto maggiore. anarcosurriscaldista Per lui il riscaldamento globale è solo un complotto delle élite globaliste per costringerti a cambiare la tua Panda euro 2. Una volta era un fricchettone ambientalista, ora brucia la plastica di nascosto per portare la temperatura del pianeta a 58 gradi: pare che sia l’unico modo per stordire i rettiliani che vogliono stabilire il nuovo ordine globale e controllarci tramite le app del meteo. L’altra teoria è che a 58 gradi l’adenocromo sa di piscio. vulcaniano L’aumento della CO2 è tutta colpa dei vulcani! Cioè, un vulcano emette molta più anidride carbonica di un umano, mica lo vorrai paragonare con un SUV! E poi è chiaro che in questi ultimi 150 anni è aumentata di molto l’attività vulcanica, mica quella antropica. I vulcani sono cattivi e ci odiano e hanno deciso di distruggersi. La soluzione in questo caso sarebbe molto semplice, basterebbe costruire dei grossi tappi di sughero e usarli per tappare le bocche. Dei negazionisti. negazionista vintage Negazionista, di solito avanti con gli anni, che è rimasto ancorato agli schemi del passato. Attenzione, da non confondere con il LVIsta, non è automatico che abbia nostalgie di passati più o meno remoti (anche se spesso capita). Più semplicemente, non riesce a stare al passo con la propaganda e continua a ripetere “Non uscite nelle ore più calde e bevete tanta acqua” anche in mezzo ai monsoni. Siamo convinti che abbia bevuto tanto ma probabilmente, da buon negazionista, non era acqua. tecnonegazionista Ha una fiducia cieca nel potere innevatore della tecnica. Non è un refuso, è proprio “innevatore”: l’unica cosa che gli interessa è che i cannoni continuino a sputare neve artificiale su quella linguetta di terra in cui va a fare la settimana avana (chiamarla bianca ormai è troppo anche per lui). Che poi sciare con 30 gradi ti risparmia tutto il fastidio della tuta da sci e delle maglie termiche. Ha anche provato a lanciare una linea di bermuda da neve, prodotti in Bangladesh. Avrebbe sicuramente funzionato se la fabbrica non fosse stata travolta da un’inondazione. haarpista Forse una delle specie più antiche di negazionista climatico, gli va dato atto che lui era già negazionista quando il clima non se lo filava nessuno. È convinto che tutti i fenomeni atmosferici e i terremoti siano regolati da quattro ripetitori in Alaska, controllati da gente che ci odia e interviene sul clima attraverso le scie chimiche. Odia i più recenti negazionisti cialtroni: lui ha faticato una vita per elaborare complesse teorie che violavano 18 leggi fisiche contemporaneamente e quelli riescono ad andare in TV semplicemente urlando a squarciagola che “ha sempre fatto caldo!”. angelo del s’ignora Ignora tutta la letteratura scientifica sull’argomento perché la risposta l’ha trovata nell’unico libro che ha letto (o meglio, che gli hanno raccontato): la Bibbia. È convinto che il cambiamento climatico sia la punizione divina per il fatto che l’altro ieri due gay si sono baciati in pubblico sul lungomare di Messina. Il riscaldamento climatico per lui è solo il teaser dell’inferno e l’unica soluzione è nella preghiera e nella vita morigerata. Oltre a bruciare tutti i gay, possibilmente a fuoco lento per tenere sotto controllo la temperatura del pianeta.  Qui la prima parte.Qui la seconda parte.Qui la quarta parte.

L’ANSIA IN PILLOLE

L’ANSIA IN PILLOLE Io la tv non la guardo più tanto, mi capita soprattutto di farlo quando vado a fare visita ai miei, quindi non lo so di preciso se è effettivamente una cosa nuova o una roba vecchia che mi è capitato di vedere per la prima volta solo in questi giorni. In realtà è una cosa piccola, non è una di quelle cose per cui partono le indignazioni generali, non c’è nessuno scandalo dietro, niente di illegale, solo una di quelle cose piccole che ti fa pensare (almeno a me lo fa pensare) che abbiamo sceso un altro gradino in questa inarrestabile marcia verso l’abisso. Mentre andava la pubblicità tra una soap e l’altra di quelle che vede mia madre è comparso lo spot di un farmaco per l’ansia. In realtà per l’ansia “lieve” perché nel nostro paese non si possono fare (ancora) pubblicità per farmaci che richiedono prescrizione medica. Quindi c’era questa pubblicità con la musichina allegra per l’ansia lieve, dove naturalmente ansia era scritto grande e lieve piccolino, tante volte, in tante immagini diverse: sempre con ansia scritto grande e lieve scritto piccolo in un angolo. Ora la prima domanda è: a chi è rivolta questa pubblicità? Perché io ho l’ansia, vedo la pubblicità per l’ansia-scritta-grande lieve-scritto-piccolo e magari penso: la provo, magari la mia ansia è lieve, magari funziona. Ci sta, poi se non funziona in caso vado dal medico. Sì ma questo io, questo io dell’ansia lieve, chi è? E allora mi è venuto in mente lo spezzone che gira in questi giorni online sulla ragazza in lacrime davanti al ministro per l’ambiente che dice che ha l’eco-ansia. E il ministro risponde e poi poco dopo si commuove e si mette a piangere anche lui. Ho letto, online, che il ministro prova rispondere da ministro e poi l’uomo ha la meglio, sul ministro, e allora piange. A me invece sembra esattamente il contrario, le sue parole e quel misto di commozione mi sembrano proprio la rappresentazione dell’uomo che soccombe al ministro. Mi sembrano dire: ti capisco ragazza mia, capisco il tuo dolore, piango insieme a te, come nonno, perché penso che i miei nipoti condivideranno la tua stessa sorte. Ma io sono un ministro: il mio ruolo è far sì che questo sistema vada avanti così, il mio essere ministro è incompatibile con un cambiamento significativo dello stato delle cose. Tu pensi che potrei fare qualcosa, ma il motivo per cui sono stato nominato ministro è esattamente perché non lo farò. E quindi piango con te, piango la tua impotenza e la mia e il fatto che a questo tu e i miei nipoti dovrete rassegnarvi e con quest’ansia dovrete imparare a conviverci. Lacrime dell’ineluttabile come quelle di Elsa Fornero. L’eco-ansia è un’ansia lieve? È questo che stiamo dicendo ai ragazzi? Prendetevi la pillolina per l’eco-ansia lieve e vedrete che tutto andrà bene. Che poi l’implicazione successiva è che se la pillolina per l’ansia non funziona significa che hai un’ansia non lieve e allora a quel punto devi proprio andare dal medico e curarti. Però poi a me in testa rimane un’altra domanda: ma perché quella ragazza ha l’ansia? Perché così tanti giovani oggi hanno l’ansia? E allora mi è tornata in mente una frase di Fisher con cui stavo preparando un poster di futurabilia: “l’ansia è lo stato emotivo correlato alla precarietà (economica, sociale, esistenziale) che la politica neoliberista ha normalizzato”. E questo è il motivo per cui l’altro giorno, guardando lo spot, ho avuto la sensazione di scendere un altro gradino: perché ora c’è tutto. C’è la precarietà, c’è la ansia e da qualche giorno (o forse molti di più) c’è la normalizzazione via spot. L’ansia è un elemento ineliminabile di questo modello di sviluppo, fattene una ragione. In fondo l’ansia è produttiva, non è una depressione che ti butta in un angolo, che ti lascia steso sul letto senza voglia di fare niente, entro una certa soglia un po’ d’ansia ti spinge a impegnarti di più, a dare il massimo. L’ansia non solo è compatibile con il sistema, l’ansia è addirittura funzionale al sistema, basta tenerla sotto controllo affinché non ecceda certi limiti e diventi paralizzante e improduttiva. È normale ma non preoccuparti, abbiamo la soluzione: il tuo disagio non solo non va politicizzato, non va neanche medicalizzato, si risolve tutto in quel piccolo triangolo magico che si stabilisce tra te, la televisione e la pillola. Prendi la pillola e sopporta il mondo. Prendi la pillolina per l’eco-ansia, se serve abbiamo anche la pillolina per l’ansia lieve da precariato, la pillolina per l’ansia lieve da mutuo o d’affitto, la pillolina per l’ansia lieve da licenziamento.Una risposta che vediamo anche nelle reazioni scomposte di molti al video della ragazza: è lei che deve farsi curare, è lei che ha un problema (un gradino sotto ci sono quelli che credano che sia tutta una messinscena, e lei un’attrice che recitato la parte di quella con l’ansia). L’importante è che l’ansia non diventi un elemento del dibattito pubblico: non esiste e se esiste è un problema personale. Quello che non possiamo neanche accettare di chiederci è se ha un collegamento con la nostra società: Perché il punto è quello: l’ansia sta aumentando? E se non sta aumentando (pare di sì), come mai hanno iniziato a farci spot pubblicitari in tv? È solo uno spot, mi ripeto, eppure mentre lo guardo continua a girarmi in testa un’ultima domanda: e quando l’ansia non sarà più lieve? Quando avremo bisogno di farmaci più pesanti, continueremo a ritenerlo un problema personale o ci decideremo finalmente ad affrontare il fatto che la nostra società e il nostro modo di vivere forse hanno un ruolo in tutto questo? Lo faremo, o semplicemente penseremo che siamo noi che non siamo abbastanza “forti” e scenderemo un altro gradino chiedendo ai medici di prescriverci qualcosa di più efficace? Fino a che punto riusciremo, sempre per usare un’espressione di Fisher, a privatizzare lo stress? Quanti gradini ci separano dall’epidemia di fentanyl che negli … Leggi tutto

SDS#97 – I RICCHI HANNO ROTTO IL CAZZO

Sarà il caldo, sarà che col riscaldamento globale fa più caldo der solito, sarà che col caldo pure la sopportazione nostra è ridotta, ma io lo devo di’: i ricchi hanno rotto il cazzo. E quello che deve tirà fori la stilografica in treno e il libro in francese e il giornale in inglese e poi passa tutto er tempo a spizzà i regazzini che parlano de calcio e de figa ma io dico allora che te li sei portati a fa’ er libro, i giornali e la stilografica? Cioè na vorta i ricchi erano stronzi ma tutto sommato, per la gran parte, erano armeno discreti. E mo invece tutti i giorni te devono postà er selfie dalla barca, dar jet privato, da in braccio a Cristo mentre fòri c’è la fame e la devastazione e l’apocalisse. E poi, se tu non t’accodi al loro profondo dolore perché je s’è scheggiata l’unghia e c’hanno fatto ‘na diretta instagram da dieci minuti, la colpa è pure la tua che c’hai l’odio sociale, l’invidia sociale, il rodimento de culo sociale, l’animadelimejo sociale, direi. E invece li devi capì, me devi esse solidale con la sofferenza, poverelli è gente che è cresciuta a pane e yacht ma che ne sanno der mondo reale, non puoi pretende che capiscono quello che je succede intorno. S’ansiano per le piccole cose (soprattutto le piccole cose loro). Ma io dico ma voi che ciavete i sordi non ve potete pagà un po’ de psicoterapia e le paturnie vostre ve le risolvete in privato? Oppure, sempre visto che ciavete i sordi, me pagate la psicoterapia a me così dopo so’ rilassato e c’ho la pazienza necessaria a sopportavve? Ve lo chiedo co tutto er core: non potete tornà a fa’ i ricchi stronzi de ‘na vorta? Noi tornamo a fa i poveri stronzi che ve odiano, voi ce sfruttate come sempre senza pietà (cioè come fate adesso), ma senza ‘sto teatrino delle piangine incomprese da circolo der burraco? Pure perché io a te ricco, famoso, vip de non se sa bene cosa, una roba te la vorrei chiede: ma tu l’hai spesa mezza lacrimuccia, pure finta, pe’ quelle centocinquantamila famije che da agosto non sanno come mette insieme er pranzo co’ la cena? Ah no? Che t’eri distratto? E allora me spieghi perché te incazzi e ce rimani male se poi io non te capisco a te che devi cambià la macchina sennò non puoi parcheggià sotto casa in centro, che hai fatto tardi e hai perso l’aereo, non riesci a trovà er taxi o er parrucchiere t’ha sbajato la tinta? Tranquillo, de esse triste capita a tutti, ma io co’ la tristezza tua proprio non c’entro niente (e non so’ sicuro de poté di’ er contrario). Quindi fa er favore: già te sei piato quasi tutto, armeno le lacrime famo che rimangono le mie e ce faccio er cazzo che me pare.

L’IMPORTANTE NON È VINCERE MA FARE COME CI PARE

Io sono sempre stato favorevole alla politicizzazione di tutto. Dai pugni chiusi alzati al cielo di Smith e Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 a mille altri episodi (hint: per quel gesto vennero squalificati perché già allora le manifestazioni politiche alle olimpiadi erano vietate e più o meno la lora carriera finì lì. Una sorte simile toccò a Peter Norman, arrivato secondo, al suo ritorno in patria, per aver indossato la coccarda di OPHR in segno di solidarietà). Questo per il principio che le Olimpiadi non dovrebbero dare spazio alle manifestazioni politiche, in questa visione idealizzata dello sport come momento di pacificazione mondiale (secondo lo spirito olimpico della Grecia Antica) in cui l’unità dei popoli ha il meglio sulle divisioni e le liti del tempo comune. A volte questo principio si spezza, un atleta decide di infrangere questo principio sacrosanto e mettere a repentaglio la propria vittoria, a volte anche la sua stessa carriera, per portare avanti un altro principio (politico, ideale, umanitario, personale) perché è così che funzionano i principi: sulla carta sono tutti belli, tutti condivisibili e poi li cali nel mondo reale e fanno a cazzotti, così devi decidere quale dei due ha la precedenza: che cos’ha la precedenza? Il rispetto dello spirito olimpico o la mia esigenza di denunciare la violazione di un diritto? Una regola precisa non c’è, ogni atleta lo decide nel suo intimo, secondo la sua coscienza: quanto vale questo mio ideale? Quanto sono disposto a sacrificare per questo mio ideale? Zapotek ad esempio, per aver firmato il manifesto delle duemila parole, finì a lavorare in una miniera di Uranio. Per questo motivo a me gli atleti che trovano il coraggio di spezzare il tempo sospeso delle Olimpiadi per affermare un principio in cui credono sono sempre stati simpatici. Ho sempre rispettato il loro coraggio, anche quando magari ho pensato che quel loro gesto non valesse quella rottura. E ho pensato lo stesso per la schermitrice ucraina Olga Karlhan che si è rifiutata di stringere la mano all’avversaria russa Smirnova. E io un po’ la capisco dal punto di vista personale, un po’ meno dal punto di vista politico ma in fondo quello che mi dico è: ma chi sono io per giudicare una scelta di questo tipo? Altri atleti prima di lei hanno fatto gesti simili, per lanciare un messaggio, sono stati squalificati, hanno rischiato le loro carriere e se ne valeva o meno la pena lo sapevano solo loro. Io posso o meno condividere le loro battaglie politiche o personali ma il rispetto per il coraggio dimostrato glielo riconosco sempre. E per me la vicenda della schermitrice ucraina finiva qui, come tante altre storie di sport di atleti squalificati per aver manifestato le proprie convinzioni politiche durante una competizione sportiva). Poi invece siamo riusciti (noi, non la schermitrice ucraina) a trasformare quello che era un gesto coraggioso e degno di rispetto in una solenne dimostrazione di arroganza che rivela tutta l’idiosincrasia occidentale per le regole, quando a dover rispettarle siamo noi. Ora a me interessa poco delle varie versioni cavillose e puntacazziste con cui si cerca di sminuire un gesto che è e rimane politico e, in quanto politico, è l’unico motivo per cui con esso si può solidarizzare: perché se non è un gesto politico, se è solo il nascondersi dietro i cavilli del regolamento richiamandosi a regole covid o altre scuse, di quel gesto politico non rimane niente, e allora a me, di difenderlo o rispettarlo, non me ne frega niente. Se però è gesto politico, in quanto vietato, deve sottostare alle regole, e le regole prevedono la squalifica. Conta poco anche quello che fa o abbia fatto, al di fuori della pedana, l’atleta russa che, come stabiliscono sempre le regole, ha partecipato senza bandiera, senza inno nazionale, senza inneggiare al suo popolo e senza rivendicazioni personali. Questo è quello che si chiede a un atleta russo e quello che c’è sul suo profilo instagram possiamo andarcelo a spulciare per farci un’idea di chi sia, se ci sta o meno simpatica. Potrebbe essere anche la più fervida sostenitrice di Putin, non è questo che si chiede ad un atleta russo per partecipare in questo momento ad una competizione sportiva (anche se immagino che sia quello che molti desidererebbero); così come non si chiede a un atleta israeliano di prendere le distanze da Netanyahu, a un saudita di dissociarsi da Bin Salman, così come non pretendiamo la non partecipazione di un suprematista bianco. Poi tutti questi possono anche farci profondamente schifo, ma l’unica cosa che chiediamo è che non facciamo mostra delle proprie convinzioni politiche durante la manifestazione. E la russa questo ha fatto, non le era chiesto altro. Le regole servono esattamente a questo: se queste regole non ci fossero, ognuno potrebbe fare il suo comizietto politico, gli atleti russi potrebbero partecipare con il nastro di San Giorgio al petto, qualcuno potrebbe presentarsi con la falce e martello o con un piccolo stemmino nazista ricamato sulla divisa sportiva. Le olimpiadi, e lo sport in generale (e questo lo abbiamo deciso sempre noi), non sono il posto in cui giudichiamo quali simboli ci piacciono e quali no. Sono il posto in cui abbiamo deciso che quei simboli non ci devono stare ed è proprio per questo motivo che fa scalpore tutte le volte che la vita reale, con tutto il suo carico politico, rompe quello spazio. Nel 2016 il judoka egiziano El Shehaby si è rifiutato di stringere la mano all’avversario israeliano Or Sasson a fine gara. È stato squalificato, nonostante il regolamento del judo non preveda la stretta di mano a fine gara ma solamente l’inchino, cosa che l’atleta africano aveva fatto. Ed è probabilmente giusto che sia così se vogliamo che questi gesti di rottura rimangano, appunto, di rottura. Come si fa a rompere qualcosa che non c’è più? Se non c’è regola, il non rispetto della stessa che valore politico ha? Ma noi non abbiamo fatto neanche questo: non abbiamo, cosa che forse … Leggi tutto

FENOMENOLOGIA DEL NEGAZIONISTA CLIMATICO /2

In seguito al gradimento e alle segnalazioni di nuovi negazionisti. Abbiamo deciso di ampliare la studio e la catalogazione del fenomeno. In questa seconda parte vi presentiamo altri 10 tipi di negazionisti. climabottista La sua strategia è quella di non prendere posizione e fingere di essere equidistante da quelli che definisce “estremisti”. Se c’è un tornado, fra coloro che derubricano il tutto a pioggerella estiva e i climatologi che parlano di un fenomeno estremo di intensità eccezionale, lui si colloca più meno a metà strada: riconosce che qualcosa c’è stato ma era più una lingua di Menelik d’aria che una vera e propria tromba, al massimo un flauto di plastica della prima media. Equidistante un piffero.  fottivoltaico Più che i cambiamenti climatici, il fottivoltaico è impegnato a combattere i programmi per fermarli, perché secondo lui esiste una sola soluzione: il nucleare. Non importa se la prima centrale nucleare italiana sarà pronta quando probabilmente saremo già estinti, il nucleare per lui è la soluzione per tutto: per la produzione di energia, per la riduzione  dell’inquinamento, per il contenimento dei costi, te lo vende pure come cura per i peli superflui (sembra che le cerette all’uranio siano una bomba). In realtà il suo vero obiettivo è far riconoscere come religione “gli adoratori di Fukushima” per non pagare l’IMU sul garage. neganega Nome comune che indica la specie del Negazionista del Negazionismo. Secondo lui non c’è nessun negazionismo, ma solo delle legittime opinioni che dovrebbero trovare più spazio in un sano dibattito pubblico. Ad esempio, chi può escludere che il riscaldamento globale non sia dovuto alla deforestazione dei castori cha fanno tutte quelle simpatiche dighe di tronchi? E se i castori fossero responsabili anche delle più recenti inondazioni? Perché gli esperti non ne parlano? Si fa chiamare eretico, anche se molti preferiscono il termine “a deficiente!”. struzzo del caldo È un adattamento evolutivo dei negazionisti dei climi torridi. Si rifiuta in ogni circostanza di ammettere che fa caldo, per paura che qualcuno possa iniziare una discussione sul clima. Gira con il maglione di lana anche a luglio, la notte dorme con i riscaldamenti accesi perché è convinto che sia solo una questione di abitudine e prima o poi smetterà di sudare. Sempre a un passo dalla disidratazione a causa dei suoi comportamenti, è uno dei negazionisti a più alto rischio di estinzione, tanto che alcune associazioni animaliste ne hanno proposto l’inserimento nell’elenco delle specie da proteggere: in questo caso da se stesse. muskettiere Qualunque cosa succeda, è convinto che Musk è un genio e salverà il mondo. Che lo faccia con le tesla autoguidate, con i progetti di terraformazione di Marte o le feature a cazzo su twitter il suo giudizio non cambia: Musk è un genio e salverà il mondo. Di solito lo puoi riconoscere dalla spunta blu che ha pagato quindici euro per dimostrare a quelli che twittano gratis che Musk è un genio. Se Musk non si preoccupa dei cambiamenti climatici allora vuol dire che non esistono. Perché Musk è un genio. Peccato non poter dire lo stesso di lui. anticccp Sigla che sta per Anti Communist Climate Change Project. L’hanno convinto che il cambiamento climatico è tutto un complotto per cambiare modello di sviluppo e imporre un sistema comunista (c’è da dire che per lui è comunista tutto quello che è più a sinistra di Pinochet). Convinto di questo, ha deciso che è preferibile un’eroica estinzione di massa piuttosto che abbandonare il capitalismo e dare una chance di sopravvivenza all’umanità. Lo puoi riconoscere dal tipico verso di terrore che emette se qualcuno gli si avvicina e sussurra “patrimoniale”. complottardo di lungo corso È un professionista della negazione: dallo sbarco sulla luna, al Covid, al 5g, alle scie chimiche, ha maturato una lunga esperienza nella negazione della realtà e nell’offerta di rimedi miracolosi, che ora mette al servizio dei negazionisti di primo pelo previa raccolta fondi con associazione intestata a lui. A quelli che aderiscono manda un piccolo manuale che spiega come combattere i talebani del clima aprendo un sito che vende un piccolo manuale contro i talebani del clima. Ma non c’è nessun intento truffaldino dietro: lo fa un po’ per abitudine, un po’ per la gloria, un po’ per quelle migliaia di euro che riesce a raccattare di volta in volta. bastian contratto In realtà non è un vero negazionista: lui è spaventatissimo dal climate change. Fa donazioni di nascosto a tutte le associazioni ambientaliste, ha già redatto un testamento olografo su carta riciclata a favore di Greenpeace e di notte va in giro col passamontagna a bucare le ruote dei SUV. Di giorno però lavora come giornalista negazionista perché è stato assunto con un contratto precario, il suo editore pretende una fake news a settimana sull’argomento e non è che il mutuo si paga da solo. antigretino Lui non è che ce l’ha col riscaldamento globale, a lui gli sta sul cazzo Greta Thumberg. Greta è un prodotto sorosiano delle élite e per questo è cento volte più pericolosa di qualsiasi fenomeno atmosferico: è Greta che fabbrica palle da bowling di ghiaccio con cui bombardare le città più inquinanti. La siccità? Colpa di Greta. I tornado? Colpa di Greta. È Greta che mette di nascosto la panna nella carbonara. Fosse per lui venderebbe la macchina domani e diventerebbe vegano ma, finché c’è Greta, non se ne parla neanche. liberomercataro È convinto che a risolvere tutto sarà la mano invisibile del mercato. Non appena diminuirà la domanda di caldo i prezzi dei climatizzatori crolleranno e questo provocherà un calo delle quotazioni del grado Celsius sui mercati globali. Ha dei bellissimi powerpoint che dimostrano che i fenomeni climatici dovranno per forza adattarsi all’economia e che, se proprio non dovesse succedere, è a causa delle tendenze stataliste dell’atmosfera. Cosa che dice con la stessa spavalderia con cui er bancarellaro de Porta Portese cerca di convincerti che quella è proprio una borsa Vuitòn originale in cui hanno solo sbagliato a scrivere il nome. Qui la prima parte.Qui la terza parte.Qui … Leggi tutto

FENOMENOLOGIA DEL NEGAZIONISTA CLIMATICO

Davanti agli eventi di questa settimana i negazionisti climatici, invece che andare in difficoltà, si sono manifestati in tutta la loro potenza. Ma non sarebbe corretto assommare in una parola comportamenti anche molto diversi tra loro. Segui quindi una piccola casistica dei tipi di negazionisti. SEMPERFATTISTA Per lui tutto è sempre stato così: ha sempre fatto caldo, ha sempre fatto la grandine, i monsoni milanesi sono più tipici del risotto; anche davanti alla sua macchina che sembra sopravvissuta a malapena a un checkpoint israeliano, lui è pronto a scartabellare negli archivi per dimostrarti che nel cinquantotto in Guatemala c’erano chicchi di grandine più grandi di così. Di notte lo potresti trovare a lanciare blocchi di ghiaccio dal cavalcavia nel tentativo di dimostrare che c’è di peggio. HASTATISTICO Può presentarsi come evoluzione del primo tipo o manifestarsi direttamente in questa forma. Nell’impossibilità di negare direttamente il cambiamento climatico, passa le giornate a torturare i numeri sperando di ricavarne un grafico che gli permetta di dare la colpa a qualcun altro (preferibilmente i cinesi, ma l’importante è che sia stato qualcun altro). Quando le serie storiche, anche a fronte delle torture, si rifiutano di dargli ragione, si lancia nelle proiezioni sul futuro realizzate interpolando i dati di temperatura di Salcazzo di Sotto con la percentuale di burro nei biscotti per dimostrare che è tutta colpa delle batterie ricaricabili. CLIMAT CAVIAR Dal suo attico climatizzato a 18° gradi non rileva cambiamenti significativi delle temperature; al massimo rileva un leggero aumento dei prezzi di manutenzione dei condizionatori. Niente che non si possa risolvere con un’ulteriore liberalizzazione del mercato o, al limite, con la reintroduzione della schiavitù. sovranista climatico Pretende di combattere il caldo africano con le stesse tecniche con cui vuole combattere gli africani. È convinto che con un bel blocco navale e dei grossi ventilatori montati sulle motovedette possiamo invertire le correnti. In caso contrario, ha già pronto il piano B: un bel muro al centro del mediterraneo che consenta l’ingresso solo ai venti che abbiano davvero voglia di contribuire al benessere di questo paese. riscaldofilo È rimasto intrippato dieci anni fa su quel meme fintocinese che dice che ogni crisi è anche un’opportunità e sì è convinto che il riscaldamento globale sia una manna dal cielo: basterà riconvertire i vigneti a papaya e spostare le vacanze estive a febbraio. È affascinato dalla possibilità di coltivare i pomodori in Siberia e in Groenlandia ma visto che vive in Puglia da due anni prova a capire come fare le orecchiette con le cime di cactus. disallarmista È convinto che sia tutto un problema di comunicazione: per risolvere il problema del riscaldamento climatico basterebbe cambiare la palette dei colori delle cartine del meteo, evitare di misurare la temperatura al suolo, smettere di fare confronti con gli anni precedenti, aspettare due ore prima di fotografare i chicchi di grandine e spostare di dieci gradi indietro le scale dei termometri. Il suo hobby preferito è smontare gli antifurti dalle auto nei parcheggi dei supermercati. Da quando ha smesso di guardare le classifiche ha già festeggiato sei scudetti, tre champions e quattro coppe italia. climatrollogo Ha studiato il clima sul manuale delle giovani marmotte ed eseguito dei complicatissimi calcoli nella sua cameretta, inspiegabilmente rifiutati da tutta la comunità scientifica, che dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che non ha la più pallida idea di che cosa sia la climatologia. Se non riuscite a cogliere l’evidenza dei suoi studi rivoluzionari è solo perché non siete abbastanza intelligenti, non avete le giuste competenze scientifiche, siete parte del sistema oppure non vi siete ancora sottoposti a una lobotomia frontale. prosuver Va bene l’aumento delle temperature, lo scioglimento dei poli, i tornado di provincia, le alluvioni settimanali, i black out energetici, va bene tutto ma l’importante è che lui possa continuare a sgasare in centro col SUV e a stirare le marce e i passanti per sconfiggere la dittatura ciclopedomassonica che vorrebbe imporgli il limite di trenta chilometri orari nei centri abitati o (addirittura!) il passaggio all’elettrico che gli impedisce di fare brum bruuuum! Lo trovi schierato in prima linea contro l’insopportabile frastuono dei tram. troppotarder Il troppotarder si manifesta di solito come stadio finale di evoluzione di diversi tipi di negazionista visti in precedenza. Dopo aver passato anni a combattere, ha finalmente accettato la sconfitta e raggiunto quella sciroccata pace interiore con cui prova a convincerti che bisogna abbracciare l’Apocalisse, magari usando un paio di guanti da forno perché comunque l’Apocalisse scotta. loltrista Forse non il più sveglio, ma sicuramente uno dei negazionisti che fa più ridere (pare che il nome venga proprio da LOL, anche se esistono altre ipotesi). Con notevole sprezzo del ridicolo e anche dei principi elementari della logica, riesce a sostenere contemporaneamente tutte le posizioni precedenti, a volte addirittura nell’arco della stessa conversazione con frasi del tipo: non c’è nessun cambiamento climatico, che comunque è tutta colpa dei BRICS e se non facciamo subito il nucleare sarà un disastro, al quale ci adatteremo senza alcun tipo di problema. Qui la seconda parte.Qui la terza parte.Qui la quarta parte.

SDS#96 – IL CLIMA DEL DIBATTITO

Alla fine se vuoi negà ‘na cosa, lo farai a prescinde dalla realtà. ”Ha sempre fatto caldo!”, sì ma quanto caldo? Caldo, non serve misurallo, basta allarmismo è l’allarmismo che te fa sudà! Certo, Roma ha toccato la temperatura più alta dai tempi de Nerone ma de sicuro la colpa è der colore delle cartine del meteo. Perché er meteo lo sa, vede la cartina tutta rossa e se ingarella, mo ve lo faccio vede io fino andò posso arivà co’ le temperature. È na guerra psicologica, cor meteo, devi uscì cor piumino a 40 gradi e di’ aho ammazza che arietta, tiè, er termometro della machina segna solo 41 gradi mo quasi quasi accenno i riscaldamenti; e allora ecco che er meteo se spaventa, mecojoni che impunito, mo quasi quasi scendo. Che poi a parte i casi singoli, so’ dieci anni che stamo a batte tutti i record e le medie da quanno misuramo la temperatura, e a te ancora te servono i dati perché boh, però me ricordo che nonno nel 58 diceva che faceva caldo solo che sur cinquino non ciaveva er termometro? Boh guarda, certe volte me verrebbe da piatte a schiaffi, ma no pe’ na cosa de violenza ma a scopo scientifico: aho ma che m’hai dato no schiaffo? Quale schiaffo? Boh a me non ma pare, non me sembra, ma sei sicuro che non era no schiaffo percepito? Cioè tu l’hai percepito e io no, è na questione soggettiva. Vabbè, ma mo anche ammesso che era no schiaffo, quanto schiaffo era? Sei sicuro che non era un fenomeno isolato? Io analizzerei er tempo de ritorno de ‘sto schiaffo, tipo… Sbam! Ahio, mo però so’ due! A me me sembrano sempre schiaffi percepiti e li percepisci solo tu, ma comunque, anche due, non me pare un clima da schiaffi! Cioè non è come quella volta ar bar quanno sei entrato urlando che i Maneskin erano mejo dei Pink Floyd. O quella volta che ce volevi convince che Renzi era de sinistra? ner 2018? O quando eri convinto d’ave trovato na caramella co’ la droga? O Vox che doveva arivà al 30%? P l’altro giorno che volevi fa’ lo spiegone su Barbie? O quella vorta der meteorite? Là si che volavano schiaffi. Perché tanto qua non ce sarva manco il meteorite, pure arivasse e se dovessero sarvà dieci persone, due starebbero lì a di’ ma sei sicuro che fosse proprio un meteorite? secondo me era er barbecue der vicino che ha esagerato co l’arosticini! Senti che puzza de carne bruciata!Ma sì ma è tutto normale, voi mette co’ la concentrazione de CO2 der Cambriano? Avoja se me la ricordo… ma che c’entra? Vuoi tornà ar Cambriano? Vuoi fa na transizione ecologica verso er verme de mare? Mo non è che te posso venì dietro solo perché tu stai già a buon punto! Comunque ce stanno pure quelli che dicono che er clima va avanti a cicli de quattrocento anni: basta che aspettate quattrocento anni e tutto torna a posto. Mica ciavrete fretta?  

SDS#95 – D’INCIDENTE MUORE

Lentamente muorechi diventa schiavo dell’abitudine,ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,chi non rischia e cambia colore dei vestiti,e muore all’improvviso chi la vita la rischiatutti i giorni solo per poter lavorare. All’improvviso muore chi cade in una cisternae viene soffocato dalle esalazioni,All’improvviso muore una ragazzarisucchiata da un macchinario a cuisono stati manomessi i dispositivi di protezioneper produrre di più, più velocemente.All’improvviso muore chi viene investitoda un camion durante un picchetto di protesta,chi si schianta precipitando dentro il vanodi un ascensore,All’improvviso muore chi viene travoltoda una lastra d’acciaiodurante l’alternanza scuola lavoro. All’improvviso muorechi non ha diritti,chi non ha tutele,chi non ha fatto i corsi di sicurezzao li ha fatti tanto per,giusto per aderire a un obbligo di legge. All’improvviso muore chi viene schiacciatoda un mezzo industrialeal suo primo giorno di lavoro e muoreall’improvviso un operaiodi settant’anni cadendo da un ponteggio.Muore all’improvviso chi lavora in nero.Muore all’improvviso chi lavora nei campie gli si spacca il cuore per la faticaper pochi euro l’ora,Muoiono sette operai bruciati vivi,dopo un turno di dodici ore,perché non valeva la penainvestire sulla sicurezza. All’improvviso muore chi esce la mattinae non lo sa, che non tornerà a casa,e pensa soltanto che si sta guadagnandoun pezzo di pane.Ma tu non ci pensare,bevi tanta acqua,non uscire nelle ore più caldee lavora fino a sessantasette annisotto il sole.

SDS#94 – I MASERABILI

Forse non è il più grave (sotto diversi aspetti), ma quello della Maserati in prestito ai Carabinieri è forse il più emblematico dei vari episodi della settimana. Certo la Maserati ministeriale non si staglia nel tenue bagliore rossastro di un’insegna dell’Alabama come la 73 Bora di Bobby Western nell’ultimo romanzo di McCarthy, ma più prosaicamente contro un banale cartello di divieto di sosta del Comune di Milano. Non ha quella stolida immobilità dello sguardo del Ministro Sangiuliano mentre realizza di aver appena affermato davanti alle telecamere di non aver letto nessuno dei libri per cui ha appena votato come giurato del premio Strega; né la sfacciata sincerità di uno Sgarbi che, improvvisando un memoriale sulla prostata e i suoi record di scopate ricorda, in un attimo di rara lucidità che il ruolo per il quale è ingaggiato, con un certo successo da quarant’anni a questa parte, è quello di personaggio; neanche mostra la scaltra e finta ingenuità di un La Russa che, nell’esprimere piena fiducia nella magistratura, si premura d’anticipare l’esito di indagini e processo e n’approfitta per lanciare sottintese accuse alla dubbia moralità della vittima; ricorda forse di più la follia compulsiva dei passeggeri della Crociera extralusso 7NC con cui è costretto a interagire D. F. Wallace e che spinge Mona a inventarsi una finta data di compleanno per aver un surplus d’attenzione fatto di bandierine e un pallone a forma di cuore. Mona che, quando poi lui osserva che in realtà il vero compleanno di lei coincide quello di Benito Mussolini (tra gli sguardi di morte della nonna), si dimostra invece tutta eccitata per la coincidenza, avendo confuso, a quanto pare, Mussolini con Maserati. (E viene facile da pensare che oggi quella stessa identica reazione di vaga frenesia così come manifestata da Mona l’avrebbero molti rappresentati del governo in carica se solo il fraintendimento avvenisse a termini invertiti). La Maserati diventa così, come sulla 7NC, lusso pret-a-porter di un tour d’ostentazione coatta, rigorosamente a nolo ma pagato coi soldi dell’azienda già in difficoltà, messo a disposizione di uno Stato il cui compito è certificarne soltanto la status di potente maserabile. Un potere che è sempre più concentrato sull’auto-celebrazione del proprio status, così centrato sul proprio bisogno di sentirsi leccare il culo che, di fronte alle difficoltà materiali di una realtà che suggerisce tutt’altro, è perfino disposto a fornire personalmente la saliva per l’operazione.

IL MANUALE DELLA NON MOLESTIA

IL MANUALE DELLA NON MOLESTIA Premessa. Tutte le volte che un maschio inizia a parlare di stupro e annessi è necessario fare una serie di premesse: la prima che mi sento di fare è che, a margine dell’ennesimo fatto di cronaca su cui, di fatto, non sappiamo niente, si sono scatenate una serie di reazioni pavloviane da cultura dello stupro e victim blaming su cui c’è tanto da dire, ma sicuramente è stato fatto molto meglio di come potrei fare io quindi, semplicemente mi accodo e quello che scriverò di seguito va inteso come integrazione e non come contrapposizione a quei discorsi (ovvero: non è possibile nessun discorso ulteriore se prima non partiamo dal riconoscere che uno dei discorsi reazionari dominanti è, ancora oggi, quello della colpevolizzazione della vittima). La seconda premessa è che in quanto maschio forse sarebbe più saggio stare in silenzio ed ascoltare, epperò credo come maschio ci siano un paio di cose da dire su alcuni discorsi secondari che intravedo, roba che definirei il piano B dei maschietti, e che mi sembrano comunque subdolamente pericolosi anche se in maniera diversa (il che non vuol dire che alcuni di questi discorsi non siano portati avanti anche da persone di sesso femminile: restano comunque discorsi maschili) e quindi, visto che saggio non lo sono mai stato, mi accollo il rischio di provare a ragionarci sopra, da maschio. Fatte queste premesse, e fatti salvi gli accidenti specifici del caso che nulla aggiungono al discorso generale, la domanda è, depurato il discorso di tutte le posizioni reazionarie che si collocano grosso modo al livello culturale di un lanzichenecco durante la razzia di un villaggio, se resta nel rumore di fondo qualcos’altro su cui indagare; e mi pare, questa volta come altre, che tutta una serie di “battute” più o meno infelici e provocatorie sul consenso e sulla validità del consenso siano anche la spia di qualcos’altro. Sia chiaro, molto spesso non c’è veramente nulla di diverso dai discorsi sulla colpevolizzazione posti in premessa, o dal richiamo a un imprecisato stato di natura in cui le cose sono sempre state così. Credo però che, oltre a questo, inizi a emergere un secondo tipo di discorso pubblico (che assumerò per ora come fatto in buona fede) che però mi pare sottilmente ma ugualmente pericoloso: per brevità lo chiamerò piano B dei maschietti o anche discorso normativo. Il retropensiero che sta dietro i “finti contratti sul consenso” condivisi online non è soltanto quello di screditare e inficiare la libera volontà della donna ma anche quello di ristabilire il significato di consenso/molestia/stupro attraverso un processo definitorio, delimitativo, in un discorso che è appunto di tipo normativo e che, quando è fatto in buona fede, potremmo riassumere così: ok, io rinuncio al mio ruolo di predatore sessuale perché ho capito che è sbagliato, ma mettiamoci intorno a un tavolo e stabiliamo in maniera condivisa che cosa va considerato molestia e cosa no, cosa va considerato stupro e cosa no, quello che posso lecitamente fare senza sentirmi/comportarmi come un predatore sessuale, quello che mi è vietato in quanto maschio e quello che invece è considerato accettabile. È un discorso che ho visto spuntare con una certa regolarità ogni volta che viene messo in discussione un singolo comportamento (il catcalling, l’apprezzamento sessuale, eccetera) e che quando non è fatto in malafede sembra avere anche una sua apparente ragionevolezza: una specie di catalogo degli atti leciti, un manuale finalmente definitivo della non molestia entro cui inquadrare e deresponsabilizzare il singolo episodio. Insomma, pur non trincerandosi dietro una fantomatica cancel culture per la quale “non è possibile più fare niente”, si cerca rifugio in un più politicamente corretto “ok, dimmelo tu quello che posso e non posso fare e mi adeguo.” E quindi stabiliamo, di volta in volta ma in maniera lapidaria, che il catcalling non si fa, che chiedere a una propria dipendente di uscire non è opportuno, che in generale non sono opportune relazioni sentimentali sul lavoro tra persone che hanno qualifiche differenti, che l’apprezzamento con vaghe (sì ma quanto vaghe?) allusioni sessuali in contesti lavorativi è da evitare, fino al paradosso del contratto che pretende di chiarire preventivamente quali sono i limiti del consenso, per quali pratiche e con quali durate (che potremmo derubricare a paradosso-boutade se ad esso non fosse ispirata una puntata di black mirror, se qualcuno non avesse provato qualche anno fa a trasformarlo in un’app nel mondo reale e se diverse leggi non concentrassero il tutto sull’esplicitazione del consenso e alcuni non provassero a trasferire quello che è un approccio legislativo al campo culturale). In tutto ciò, come in altri settordicimila situazioni, assistiamo alla grande magia del mondo contemporaneo: la sparizione del contesto. Io non credo che questi discorsi siano sbagliati: mi pare solo che qualcuno, non so quanti in mala e quanti in buona fede, stia cercando di farlo atterrare su un altro territorio. Ora io credo che chiunque abbia avuto la necessità di doversi accoppiare carnalmente con un altro esemplare del genere umano sa che l’approccio “che vuoi scopà?” ha un’efficacia molto marginale a meno di non trovarsi dentro la trama di un film porno e che, nel prolungato intermezzo che passa tra l’elezione di una persona a possibile partner sessuale al momento effettivo in cui tale accoppiamento si materializza o si riduce a pura fantasia irrealizzabile esistono una serie di gradi di approssimazione in cui è sempre possibile che il proprio desiderio si incontri e si scontri col desiderio dell’altro, esponendo ognuno di noi a più o meno imbarazzanti fraintendimenti. Così come chiunque di noi abbia anche solo visto Pulp Fiction credo riesca a cogliere che un massaggio ai piedi può essere una cosa che non è niente, che fai a tua madre, come anche qualcosa che ti fa fare un volo di quattro piani perché forse non è lo stesso fottuto campo di gioco, non è lo stesso campionato e non è nemmeno lo stesso sport ma è una cosa che a un uomo (dove nel film … Leggi tutto