IL MANUALE DELLA NON MOLESTIA

IL MANUALE DELLA NON MOLESTIA Premessa. Tutte le volte che un maschio inizia a parlare di stupro e annessi è necessario fare una serie di premesse: la prima che mi sento di fare è che, a margine dell’ennesimo fatto di cronaca su cui, di fatto, non sappiamo niente, si sono scatenate una serie di reazioni pavloviane da cultura dello stupro e victim blaming su cui c’è tanto da dire, ma sicuramente è stato fatto molto meglio di come potrei fare io quindi, semplicemente mi accodo e quello che scriverò di seguito va inteso come integrazione e non come contrapposizione a quei discorsi (ovvero: non è possibile nessun discorso ulteriore se prima non partiamo dal riconoscere che uno dei discorsi reazionari dominanti è, ancora oggi, quello della colpevolizzazione della vittima). La seconda premessa è che in quanto maschio forse sarebbe più saggio stare in silenzio ed ascoltare, epperò credo come maschio ci siano un paio di cose da dire su alcuni discorsi secondari che intravedo, roba che definirei il piano B dei maschietti, e che mi sembrano comunque subdolamente pericolosi anche se in maniera diversa (il che non vuol dire che alcuni di questi discorsi non siano portati avanti anche da persone di sesso femminile: restano comunque discorsi maschili) e quindi, visto che saggio non lo sono mai stato, mi accollo il rischio di provare a ragionarci sopra, da maschio. Fatte queste premesse, e fatti salvi gli accidenti specifici del caso che nulla aggiungono al discorso generale, la domanda è, depurato il discorso di tutte le posizioni reazionarie che si collocano grosso modo al livello culturale di un lanzichenecco durante la razzia di un villaggio, se resta nel rumore di fondo qualcos’altro su cui indagare; e mi pare, questa volta come altre, che tutta una serie di “battute” più o meno infelici e provocatorie sul consenso e sulla validità del consenso siano anche la spia di qualcos’altro. Sia chiaro, molto spesso non c’è veramente nulla di diverso dai discorsi sulla colpevolizzazione posti in premessa, o dal richiamo a un imprecisato stato di natura in cui le cose sono sempre state così. Credo però che, oltre a questo, inizi a emergere un secondo tipo di discorso pubblico (che assumerò per ora come fatto in buona fede) che però mi pare sottilmente ma ugualmente pericoloso: per brevità lo chiamerò piano B dei maschietti o anche discorso normativo. Il retropensiero che sta dietro i “finti contratti sul consenso” condivisi online non è soltanto quello di screditare e inficiare la libera volontà della donna ma anche quello di ristabilire il significato di consenso/molestia/stupro attraverso un processo definitorio, delimitativo, in un discorso che è appunto di tipo normativo e che, quando è fatto in buona fede, potremmo riassumere così: ok, io rinuncio al mio ruolo di predatore sessuale perché ho capito che è sbagliato, ma mettiamoci intorno a un tavolo e stabiliamo in maniera condivisa che cosa va considerato molestia e cosa no, cosa va considerato stupro e cosa no, quello che posso lecitamente fare senza sentirmi/comportarmi come un predatore sessuale, quello che mi è vietato in quanto maschio e quello che invece è considerato accettabile. È un discorso che ho visto spuntare con una certa regolarità ogni volta che viene messo in discussione un singolo comportamento (il catcalling, l’apprezzamento sessuale, eccetera) e che quando non è fatto in malafede sembra avere anche una sua apparente ragionevolezza: una specie di catalogo degli atti leciti, un manuale finalmente definitivo della non molestia entro cui inquadrare e deresponsabilizzare il singolo episodio. Insomma, pur non trincerandosi dietro una fantomatica cancel culture per la quale “non è possibile più fare niente”, si cerca rifugio in un più politicamente corretto “ok, dimmelo tu quello che posso e non posso fare e mi adeguo.” E quindi stabiliamo, di volta in volta ma in maniera lapidaria, che il catcalling non si fa, che chiedere a una propria dipendente di uscire non è opportuno, che in generale non sono opportune relazioni sentimentali sul lavoro tra persone che hanno qualifiche differenti, che l’apprezzamento con vaghe (sì ma quanto vaghe?) allusioni sessuali in contesti lavorativi è da evitare, fino al paradosso del contratto che pretende di chiarire preventivamente quali sono i limiti del consenso, per quali pratiche e con quali durate (che potremmo derubricare a paradosso-boutade se ad esso non fosse ispirata una puntata di black mirror, se qualcuno non avesse provato qualche anno fa a trasformarlo in un’app nel mondo reale e se diverse leggi non concentrassero il tutto sull’esplicitazione del consenso e alcuni non provassero a trasferire quello che è un approccio legislativo al campo culturale). In tutto ciò, come in altri settordicimila situazioni, assistiamo alla grande magia del mondo contemporaneo: la sparizione del contesto. Io non credo che questi discorsi siano sbagliati: mi pare solo che qualcuno, non so quanti in mala e quanti in buona fede, stia cercando di farlo atterrare su un altro territorio. Ora io credo che chiunque abbia avuto la necessità di doversi accoppiare carnalmente con un altro esemplare del genere umano sa che l’approccio “che vuoi scopà?” ha un’efficacia molto marginale a meno di non trovarsi dentro la trama di un film porno e che, nel prolungato intermezzo che passa tra l’elezione di una persona a possibile partner sessuale al momento effettivo in cui tale accoppiamento si materializza o si riduce a pura fantasia irrealizzabile esistono una serie di gradi di approssimazione in cui è sempre possibile che il proprio desiderio si incontri e si scontri col desiderio dell’altro, esponendo ognuno di noi a più o meno imbarazzanti fraintendimenti. Così come chiunque di noi abbia anche solo visto Pulp Fiction credo riesca a cogliere che un massaggio ai piedi può essere una cosa che non è niente, che fai a tua madre, come anche qualcosa che ti fa fare un volo di quattro piani perché forse non è lo stesso fottuto campo di gioco, non è lo stesso campionato e non è nemmeno lo stesso sport ma è una cosa che a un uomo (dove nel film … Leggi tutto

SDS#93 – ELONIO FUNEBRE

La fine de ‘sta settimana s’è consumata nella piccola isteria twitter dovuta all’ultima genialata del re dei troll Elonio che, così de botto e senza motivo, ha deciso de inserì er twitterlimit: pòi vede ar massimo quattrocento tweet ar giorno, che poi so’ diventati seicento, che poi so’ diventati mille perché Elonio ormai contratta che manco un venditore de tappeti. Che a margine, ciavrebbe senso se armeno non fosse che la metà de questi so’ un tweet de Polito. Ora, potremmo pure discute della geniale strategia commerciale che punta a limità er tempo che i tuoi utenti passano sulla tua piattaforma, se questa non fosse sortanto l’ultima trollata de un megalomane che ambisce ar titolo de miliardario più purciaro dell’universo. Diciamo pure che le premesse non erano state delle migliori: dopo l’arrivo in ufficio cor lavandino, er licenziamento a capocchia de metà der personale, compresi quelle che dormivano in ufficio pe’ “raggiunge gli obiettivi”, ce potevamo aspettà quarcosa de diverso?La spunta blu è diventata “er distintivo da amichetto de Elonio”, che più artro certifica l’idiozia de pagà 15 euri ar mese per superà er limite de 280 caratteri che letteralmente tutti avevano capito come superà da armeno dieci anni, banalmente mette un tweet appresso all’altro. Un po’ come quelli che trent’anni fa se compravano la casa a Monti perché je piaceva tanto lo spirito artigiano e popolare der quartiere e poi dopo quarche tempo se lamentavano che però er quartiere non era più popolare e artigiano come un tempo, cioè prima che arivassero loro. (per chi non è de Roma, na massa de cojoni assortiti che potremmo riassume ner termine “wannabe fighetti” era corsa a comprà casa facendo schizzà i prezzi e cacciando de fatto i residenti storici che me po’ sta pure bene basta che dopo non vieni a piagne che non è più come prima). Così, dopo avé fatto tutto pe’ trasformà twitter nella brutta copia de facebook (ormai ce mancano solo i gruppi “te lo regalo se hai la spunta blu”) viene er dubbio che er genio Elonio ha comprato twitter co’ un obiettivo preciso: fallo diventà na fogna o ammazzallo. E naturalmente mo tutti se lamentamo e, naturalmente, lo famo su twitter. Tutti che se ne dovemo annà, ma stamo su twitter. Tutti che così le cose non pònno annà avanti, ma le cose vanno avanti e ce ne famo na ragione e me pare la migliore allegoria de la società contemporanea: tutti consapevoli che le cose non funzionano più, ma nell’incapacità generale de mettese d’accordo su quale potrebbe esse quella valida fra le varie alternative disponibili, tutte restamo incatenati nella stessa trappola. La finisco qua sennò ve brucio tutte le visualizzazioni io.

SDS#92 – TUTTA COLPA DEI PACIFISTI

Pe’ un giorno er monno è rimasto cor fiato sospeso appresso alla gesta de Evgenij Prigozhin, il partigiano. Naturalmente prima ancora de capì che era successo già era partito er circo delle tifoserie. Così er compagno Prigo è passato da macellaio de Bachmut a rivoluzionario della libertà e ha puntato dritto verso Mosca pronto a deporre Putin. E ce sarebbe pure riuscito, fra gli applausi entusiasti dei NAFO, se non se fossero messi de mezzo come ar solito i pacifisti. Fino a Rostov era annato tutto liscio, occupazione militare come da copione e un paio de video da tiktok che spaccano. Inizia l’avanzata e manco è partito che viene raggiunto da un tweet critico de Luca Telese, segno evidente che i pacifisti vojono più bene a Putin che a lui. Ma lui non se scoraggia, se batte contro l’esercito corrotto russo, de cui lui è solo incidentalmente uno degli esponenti più sanguinari, i liberali russi già lo appoggiano e pure pe’ quelli italiani è già diventato un punto di riferimento fortissimo. Cosa pò annà storto?Subito dopo arriva Daniela Ranieri, lo promuove a editorialista del Foglio e lì Prigo va in confusione: ma me sta a prende per il culo o dice sul serio? Così telefona in redazione, cerca er traduttore, fatte spiegà quella storia del carro e der vincitore, un sacco de tempo perso.E mo? Certo la situazione è drammatica, i pacifisti proprio non rassegnano ar fatto che lui è il nuovo liberatore della patria, i fedelissimi provano pure a levaje twitter ma lui sta più a rota de Calenda e se infogna a legge tutto l’hashtag cor nome suo. Ner frattempo riesce ad abbatte tre o quattro elicotteri russi tipo zanzare anche se non riesce a schivà i thread de Nico Piro e i tweet sarcastici dell’altri pacifisti.  Ma lui continua, imperterrito. Ormai è arrivato a no sputo da Mosca. De trecento chilometri ma comunque no sputo. Nessuno sembra in grado de stoppallo quando succede l’imponderabile: er silenzio de Conte. E mo come farà a conquistà er Cremlino senza l’appoggio dei 5S? La notizia in realtà già circolava dalla mattina e tre quarti della Wagner avevano disertato. Ora che è confermato scoppia er panico. Mo capisce perché Putin non ha fatto un cazzo pe fermallo, ciaveva i pacifisti imboscati pronti a pugnalarlo alle spalle, er discorso della mattina era un messaggio in codice! Cazzo quante ne sanno sti pacifisti, una più de lui. Che fare? I soldati sembrano vacillà, lui prova a scuoterli: aho, ma mica v’ha fatto l’auguri Salvini! Così, dopo na grattata collettiva, la cosa viene messa ai voti: Cremlino o morte! Vince, de poco, Cremlino. Se prosegue, ma proprio in quer momento ariva la telefonata de Lukashenka.Prigo cambia faccia. Ascolta per un po’ e poi dice a suoi: è finita, se ne tornamo a casa. Ma che è successo? Niente, m’ha detto coso che pure Stacce dice che so’ un nazista… regà, non je la potemo fa. Però Luk c’ha un loft a Minsk dice che se se strignemo c’entramo tutti.E così pure Prigozhin se converte ar pacifismo, dice io torno indietro pe evità spargimenti de sangue, in fondo io so’ sempre stato un pacifista, pacifista mercenario, cambio orientamento su commissione, aho ma non è che è ancora disponibile quer posto da editorialista?

SDS#91 – CERA UNA VOLTA

C’era una volta, in una galassia molto molto vicina, che anzi me sa che era proprio questa, c’era un regno de fantasia che pe’ non urtà la sensibilità de nessuno chiameremo Pirlusconia. Pirlusconia era un piccolo regno feudale col classico governo monocratico ispirato alla sacra triade Dio, Patria, Famiglia; il sovrano però, conoscendo i propri sudditi, aveva preferito declinarla in una versione più concreta e appetibile e cioè soldi, calcio e figa. I soldi, come nuova religione e unico metro del successo, erano misura d’ogni valutazione morale dell’individuo. In questo i pirlusconiani erano un popolo strano: per lo più morti di fame come molti altri popoli, credevano però di potersi arricchire urlando “comunisti merda!”. Saldi in questa fede, continuavano a lavorare per una miseria con la quale compravano abbonamenti tv, assicurazioni, case e altri servizi offerti dal Sovrano Re Cerone Primo, che così si riprendeva così i suoi soldi con gli interessi ed era l’unico ad arricchirsi realmente. Il calcio, o meglio il tifo calcistico per la nazionale, condensava tutto lo spirito patrio del pirlusconiano medio, che biascicava orgoglioso l’inno con cadenza quadriennale per poi il giorno seguente mettersi alla ricerca dei più ingegnosi modi per fottere lo Stato. La figa era invece virtualmente profferta a rete unificate (sempre di proprietà di Re Cerone), affinché le donne ricordassero la loro subalterna posizione di quasi-oggetto e gli uomini permanessero in un indefinito stato desiderante ostacolato dalla propria povertà; povertà che continuavano a combattere urlando “comunisti merda”. La figa non virtuale era appannaggio del sovrano, che vi si dedicava con gran dispendio d’energie, danari, pompette e incarichi di partito, tanto che spesso capacità politica ed erotica tendevano a confondersi. Cerone contribuiva così, per sottrazione d’occasioni, a mantener saldi i sudditi nel sacro vincolo della fedeltà coniugale, come s’addice alla famiglia etero-tradizionale, cornificata solo nei limiti delle proprie capacità economiche in ossequio alla fede nel dio denaro. Nel reame tutto viveva in una calma gioiosa che in realtà della calma aveva solo l’apparenza: i sudditi, che tutti dipendevano dalle emanazioni del sovrano, erano quotidianamente impegnati (dal primo dei vassalli all’ultimo dei servitori) in una guerra fratricida: ognuno affilava il sorriso nell’attesa di pugnalare il proprio superiore e scalare così la piramide dei favoriti, sempre guardandosi le spalle dai tentativi altrui di riservargli lo stesso trattamento. Finché un bel giorno (ma non per i pirlusconiani) il sovrano crepò.  E lì, nel lungo lutto mensile proclamato nel regno, le diverse tribù che il sovrano aveva miracolosamente tenuto assieme, esplosero come l’ex-jugoslavia dopo la morte di Tito (proprio quel Tito, non quello della strada, lo dico affinché nessuno faccia confusione). Al margine del funerale solenne, mentre tutti s’affannavano a baciare la mano del vecchio capitano reggente, un orecchio esperto avrebbe saputo già individuare le piccole dissonanze sciolte all’interno del cordoglio gnaulante elargito alla nazione in diretta tv. Già veniva meno la sguaiatezza tipica con cui i pirlusconiani erano soliti rispondere a qualsivoglia critica e s’affacciava invece quel sentimento livoroso e passivo-aggressivo di chi sente minacciata la propria esistenza dagli smottamenti (interni ed esterni) del nido. Così pigola il pirlusconiano che spreme gli occhi a favor di telecamera per mostrare non tanto il dolore quanto la sua capacità di fingersi addolorato, capacità finalmente di nuovo disponibile sul mercato per quanti fossero interessati a noleggiarla. E nel frattempo guarda con diffidenza il pirlusconiano accanto, paonazzo, che urla e vuole il sovrano canonizzato per acclamazione, sperando in un processo osmotico che condoni i suoi peccati attraverso la purificazione del sommo corpo putrescente. Santo lui e santa la sua gente! Un altro, affezionato forse a condoni più terreni, si domanda: Me ne vado adesso o resto fino a quando non saranno liquidate le quote dell’eredità? E questi neoaffliti chi sono? Che vogliono? Perché se molti fremono per lasciare la nave altrettanti sperano di cannibalizzarne il relitto. Attorno, contriti e famelici, s’aggirano gli sciacalli che puntano al patrimonio del sovrano: a chi andrà il suo potere? A chi i soldi? A chi il calcio? A chi la fica? C’è margine per un nuovo sovrano, o anche solo per una quota parte di sudditi? Quale vassallo devo ammazzare? E i feudatari stretti intorno alla bara in difesa del proprio privilegio, li ringraziano per le condoglianze cercando di capire se la morte dei loro pari dara loro maggior potere o aprirà la strada a nemici più potenti, con i quali non sanno ancora se combattere o negoziare. E altri ancora in cerca di traditori, che scovare un traditore è dimostrazione inoppugnabile di fedeltà, anche quando il tradito è morto, qualcuno di sicuro saprà riconoscerla e ricompensarla. Gli eredi sono già saldi sul trono, Nerona e Cerume, la successione non sembra in pericolo. E i successori, come tutti i successori, magnificano la grandezza del sovrano per sottolineare la potenza di chi ha saputo superarlo, cioè loro stessi medesimi, lasciando che i cani e gli sciacalli si contendano gli avanzi di un bottino che hanno già tratto in salvo. Tutti insieme ripetono, a intervalli regolari, il ritualistico “comunisti merda”, affinché il pirlusconiano comune non s’accorga del grand guignol che si consuma attorno al cadavere, e possa così attendere fiducioso l’approssimarsi del giorno in cui sarà ricco. E se trovano uno in silenzio, o peggio ancora che ride di tutto questo circo insensato, subito lo prendono e lo lapidano in piazza e lo offrono in sacrificio alla memoria del sovrano, che sarà finalmente memoria condivisa una volta rimossi tutti quelli che non la condividono.