[…]Alla fine tutti l’abitanti der paese facevano er tifo per le armi: armi per attaccà, armi pe’ vince la guera, armi pe’ difendese, armi per la deterrenza, pe evità la guera e armi pe’ la guerra che sicuramente ce sarà: alla fine sarebbero stati tutti d’accordo, avrebbero potuto esse unanimemente felici non fosse stato pe’ una pur sempre numerosa categoria de cittadini a cui non se sapeva quale ruolo attribuì: i pacifisti.
Questi non è che erano pacifisti per una quarche ragione speciale (non potevano richiamasse a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi: era come se non fossero mai esistiti), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non ce potevano fa niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro o numero de atomiche sgancabili, o in punti di pil per la difesa (mejo se in ppp).
In quer paese de gente che se sentiva sempre con la coscienza a posto pure davanti a un genocidio fatto con le armi che producevano, loro erano i soli a fasse sempre degli scrupoli, a chiedese ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano pure che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste o portate come una medaglia; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che, così come in margine a tutte le società durate millenni s’era perpetuata una controsocietà de malandrini, de gabbamondo, de criminali feroci, d’assassini spietati e bugiardi, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà dei pacifisti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.