SDS#111 – UN BRUTTO SOGNO

Camminavo tranquillo pe’ strada e a un certo punto ariva uno e me fa, Spostate, tu qua non ce puoi camminà. Ma perché? Perché sì. E come ciarivo ar bar? Fai er giro largo. Vabbè, non m’annava de discute faccio er giro largo becco uno co’ na motosega che correva appreso a un antro che manco Milei durante un comizio elettorale: Ma che stai a fa? E niente je devo tajà la gamba che c’ha un’unghia incarnita poi te spiego mo devo corre sennò me scappa! Più avanti becco uno co’ un cannone, no da fumà ma proprio un cannone puntato verso una casa. Chiedo e quello me fa: c’è un cane rabbioso dentro a quella casa, è pericoloso, lo devo sterminà.Ma aspè ce vive della gente. Se vivono cor cane rabbioso so’ complici, cazzi loro. Poi sto seduto ar bar chiedo un caffè ma er barista niente. Aspetto cinque minuti. Aho ma sto caffè? C’è uno che non m’ha pagato lo spritz de ieri sera fino a quanno no me da i sordi non faccio niente a nessuno. Vabbè ma io che c’entro? Tu c’entri mo vai dai lui e te fai da’ i sordi! Vado da lui proprio ner momento in cui sta a tirà fori la pistola che però sta a puntà verso un antro: je dico fermate, quello è Gigi l’infermiere, è tranquillo. Tranquillo un cazzo ciannavo a scola alle elementari me fregava le merendine mo che ne sai che non ricomincia? In quer momento ariva un elicottero e comincia a sparà a caso e noi se nascondemo tutti dentro ar bar. Poi ariva pure la polizia e uno cor megafono dice che ciavemo un minuto e poi ce bombardano. Ma un minuto pe fa’ che? Aho non cacate er cazzo io v’ho avvertito. E iniziano le bombe. A quer punto me pare d’avé capito che cercano quello co’ la pistola, che però dev’esse scappato o s’è rinchiuso ner cesso ar piano de sotto; Oh, fermi qua c’è solo un barista stronzo che non fa i caffè e quarche antro matto ma chi è che cercate? Er terorista. Ma non ce sta più!Se vabbè, fa quello, so’ boni tutti a di’ che non ce stanno i terroristi, mo che nte fidi de noi? Comunque senti famo ‘na cosa: o l’ha ammazzate voi, o v’ammazzano noi. Ma io mica faccio er killer! Allora te devi da levà de mezzo. Vabbè ma andò vado? Vai de là. A quer punto esco, seguo er percorso che me indicano e a metà strada trovo un poliziotto cor fucile spianate: Fermo oh, io sto a scappà, non so’ un terrorista. E io che ne so? Ma te lo sto a di’ io! E perché si eri terrorista secondo te me lo dicevi? Così pia e me spara. A quer punto me so svejato e stavo a casa mia, ar sicuro. Ho ripiato fiato un attimo. Me so’ detto meno male. Meno male che è solo un brutto sogno, che nella realtà ste cose capitano solo ai palestinesi (e a tant’altri poracci in giro per il mondo de cui non frega niente a nessuno).

SDS#109 – L’AUDACE POLPO DEI SOLITI NOTI

Mo, che ogni guera c’abbia la sua dose de propaganda, da ambo i lati, non me pare una grossa novità. Certo però che quando la propaganda inizia a diventà ridicola, è segno che quarcosa s’è rotto. I propagandisti nostrani, ormai sempre più in difficoltà nel nasconde e giustificà le sempre maggiori evidenze de tutti i possibili crimini de guerra e umanitari commessi da Israele a Gaza (e in Cisgiordania) hanno iniziato a usà la tecnica “ndo cojo cojo”. Così da relativisti della svastica se so’ improvvisamente riscoperti talebani dei simboli, e se so’ scajati in massa contro un porpo de pelouche che sarebbe la prova provata che Greta è antisemita (prima hanno dovuto ritajà la foto in cui c’era na ragazza ebrea perché stonava). Cor paradosso che rischiano veramente de trasformà un pupazzetto innocuo in un simbolo politico, perché me pare chiaro che se domani vado ar ristorante e ordino con tono de sfida polpo e patate, er messaggio che vojo mannà ar mondo è che i giornalisti der Fojo so’ cojoni.Er prossimo passo potrebbe esse quello de vietà PayPal, che quer Pal ner nome è un chiaro messaggio de supporto all’Intifada! Bisognerà toje armeno er rosso o er verde dalle scatole dei pennarelli pe’ evità che i regazzini pe’ sbajo disegnino quarcosa de filopalestinese! Israele ha tajato l’acqua a 2mln de persone: guarda quella nuvola in quer disegno de quer regazzino, non te pare che è a forma de deltaplano?Israele usa er fosforo bianco: ma semo sicuri che la macedonia kiwi fragole e panna non sia un criptomessaggio de solidarietà a Hamas?Israele finora ha ucciso 29 funzionari ONU a Gaza: aho ma che non lo vedi che su un muro de na scòla de Frosinone c’è uno che ha scritto “Israele Merda”?In Cisgiordania dal 7 Ottobre so’ stati uccisi ‘na settantina de palestinesi: Ehm… no, cioè, però… SCONTRO DE CIVIRTA’!!! Più cresce la distruzione, più crescono le proteste, più la propaganda diventa surreale. Se continua così finirà che arriveranno a vietà le manifestazioni in solidarietà con la Palestina, o addirittura aresteranno l’ebrei che manifestano contro ‘sto genocidio in diretta streaming. Ce mancano solo le armi de distruzione de massa de Hamas, ah no, aspè. Perché la propaganda in difficoltà ripiega sempre sui classici. A ‘sto punto avrebbero armeno potuto fa lo sforzo de portà na fialetta in studio. BREAKING: Israeli President Isaac Herzog claims Hamas terrorists who broke into Israel were carrying instructions on how to make chemical weapons. Read more: https://t.co/6aWVJTU1tm Sky 501, Virgin 602, Freeview 233 and YouTube pic.twitter.com/APEG7XlBQJ — Sky News (@SkyNews) October 22, 2023  

SDS#108 – SONDAGGIO

Repubblica quarche giorno fa ha fatto ‘sto sondaggio surreale pe’ chiede agli italiani se so’ pro-Israele o pro-Hamas e hanno stabilito che un italiano su cinque è filoterrorista. Che è un po’ come se io facessi un sondaggio chiedendovi se preferite la pizza con l’ananas o i bucatini alla merda. E venisse fuori che ben il 95% degli italiani sdogana la pizza con l’ananas mentre il restante scrive per Repubblica. Ma non contenti de questa genialata, hanno fatto pure la specifica politica dei partiti. E perché fermasse qua? Noi abbiamo approfondito la materia e possiamo raccontavve a quale fazione della galassia della resistenza palestinese appartengono i singoli: Un elettore su dieci de Forza Italia è a favore del terrorismo, principalmente pe’ una questione de harem che c’ha in testa dai tempi delle cene eleganti; poi nella realtà ha fatto annullà il matrimonio dalla Sacra Rota pe’ non pagà l’alimenti all’ex-moje. La Lega sta soltanto al 3% de terrorismo e so’ per lo più nostalgici dell’internazionale jihadista padana: immigrati che s’erano integrati al nord quando la Lega odiava i terroni e so’ rimasti fissi su quello, perché vabbè che so’ leghisti ma no così cojoni da insurtasse da soli. Fratelli d’Italia sta all’8%: la cosa fa parte de un gemellaggio coi Fratelli Musulmani, sotto lo slogan de “Prima i parenti!” e il divieto della carne sintetica de maiale. L’unico problema è che tutti e due pretendono de parlà solo la propria lingua e quindi non se capiscono. Azione è il terzo partito più fondamentalista d’Italia col 15% e sono a favore di un terrorismo meritocratico fondato su criteri oggettivi e misurabili. Al motto de né con Hamas né con Fatah, hanno scelto Terza Via e stanno al 2.4% pure in Palestina. Poi uno dice le coincidenze. Italia Viva invece sta al 5%, cioè so’ proprio cinque de numero. In sostanza erano contrari ai Patti de Abramo tra Israele e Sauditi e so’ passati cogli sciiti della corrente iraniana. Ricordiamo che Abramo in antica lingua terzopolista pare significasse Matteo Renzi. Il PD sta al 6% ma solo perché hanno truccato er totale portandolo a 104. In realtà so’ tre pensionati de Reggio Emilia che sostengono l’ANP perché se ricordano che una volta l’OLP era una roba de sinistra; che poi è lo stesso motivo per cui votano ancora PD. SI-Verdi, stando ar sondaggio, è na succursale dell’ISIS e se ispira all’arcinota corrente (già citata da molti autori storici) degli ambientalisti islamici. So’ quelli che organizzano le manifestazioni e appena la polizia te carica vengono da te cor ditino puntato. Infine nel M5S un elettore su tre è un salafita. Fanno infatti riferimento a uno dei raggruppamenti più estremisti e intolleranti, ormai diffusi più o meno in tutto l’Occidente ma che l’Italia pare sia riuscita a debellà completamente: le brigate del Reddito de Cittadinanza.

L’IMPORTANTE NON È VINCERE MA FARE COME CI PARE

Io sono sempre stato favorevole alla politicizzazione di tutto. Dai pugni chiusi alzati al cielo di Smith e Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968 a mille altri episodi (hint: per quel gesto vennero squalificati perché già allora le manifestazioni politiche alle olimpiadi erano vietate e più o meno la lora carriera finì lì. Una sorte simile toccò a Peter Norman, arrivato secondo, al suo ritorno in patria, per aver indossato la coccarda di OPHR in segno di solidarietà). Questo per il principio che le Olimpiadi non dovrebbero dare spazio alle manifestazioni politiche, in questa visione idealizzata dello sport come momento di pacificazione mondiale (secondo lo spirito olimpico della Grecia Antica) in cui l’unità dei popoli ha il meglio sulle divisioni e le liti del tempo comune. A volte questo principio si spezza, un atleta decide di infrangere questo principio sacrosanto e mettere a repentaglio la propria vittoria, a volte anche la sua stessa carriera, per portare avanti un altro principio (politico, ideale, umanitario, personale) perché è così che funzionano i principi: sulla carta sono tutti belli, tutti condivisibili e poi li cali nel mondo reale e fanno a cazzotti, così devi decidere quale dei due ha la precedenza: che cos’ha la precedenza? Il rispetto dello spirito olimpico o la mia esigenza di denunciare la violazione di un diritto? Una regola precisa non c’è, ogni atleta lo decide nel suo intimo, secondo la sua coscienza: quanto vale questo mio ideale? Quanto sono disposto a sacrificare per questo mio ideale? Zapotek ad esempio, per aver firmato il manifesto delle duemila parole, finì a lavorare in una miniera di Uranio. Per questo motivo a me gli atleti che trovano il coraggio di spezzare il tempo sospeso delle Olimpiadi per affermare un principio in cui credono sono sempre stati simpatici. Ho sempre rispettato il loro coraggio, anche quando magari ho pensato che quel loro gesto non valesse quella rottura. E ho pensato lo stesso per la schermitrice ucraina Olga Karlhan che si è rifiutata di stringere la mano all’avversaria russa Smirnova. E io un po’ la capisco dal punto di vista personale, un po’ meno dal punto di vista politico ma in fondo quello che mi dico è: ma chi sono io per giudicare una scelta di questo tipo? Altri atleti prima di lei hanno fatto gesti simili, per lanciare un messaggio, sono stati squalificati, hanno rischiato le loro carriere e se ne valeva o meno la pena lo sapevano solo loro. Io posso o meno condividere le loro battaglie politiche o personali ma il rispetto per il coraggio dimostrato glielo riconosco sempre. E per me la vicenda della schermitrice ucraina finiva qui, come tante altre storie di sport di atleti squalificati per aver manifestato le proprie convinzioni politiche durante una competizione sportiva). Poi invece siamo riusciti (noi, non la schermitrice ucraina) a trasformare quello che era un gesto coraggioso e degno di rispetto in una solenne dimostrazione di arroganza che rivela tutta l’idiosincrasia occidentale per le regole, quando a dover rispettarle siamo noi. Ora a me interessa poco delle varie versioni cavillose e puntacazziste con cui si cerca di sminuire un gesto che è e rimane politico e, in quanto politico, è l’unico motivo per cui con esso si può solidarizzare: perché se non è un gesto politico, se è solo il nascondersi dietro i cavilli del regolamento richiamandosi a regole covid o altre scuse, di quel gesto politico non rimane niente, e allora a me, di difenderlo o rispettarlo, non me ne frega niente. Se però è gesto politico, in quanto vietato, deve sottostare alle regole, e le regole prevedono la squalifica. Conta poco anche quello che fa o abbia fatto, al di fuori della pedana, l’atleta russa che, come stabiliscono sempre le regole, ha partecipato senza bandiera, senza inno nazionale, senza inneggiare al suo popolo e senza rivendicazioni personali. Questo è quello che si chiede a un atleta russo e quello che c’è sul suo profilo instagram possiamo andarcelo a spulciare per farci un’idea di chi sia, se ci sta o meno simpatica. Potrebbe essere anche la più fervida sostenitrice di Putin, non è questo che si chiede ad un atleta russo per partecipare in questo momento ad una competizione sportiva (anche se immagino che sia quello che molti desidererebbero); così come non si chiede a un atleta israeliano di prendere le distanze da Netanyahu, a un saudita di dissociarsi da Bin Salman, così come non pretendiamo la non partecipazione di un suprematista bianco. Poi tutti questi possono anche farci profondamente schifo, ma l’unica cosa che chiediamo è che non facciamo mostra delle proprie convinzioni politiche durante la manifestazione. E la russa questo ha fatto, non le era chiesto altro. Le regole servono esattamente a questo: se queste regole non ci fossero, ognuno potrebbe fare il suo comizietto politico, gli atleti russi potrebbero partecipare con il nastro di San Giorgio al petto, qualcuno potrebbe presentarsi con la falce e martello o con un piccolo stemmino nazista ricamato sulla divisa sportiva. Le olimpiadi, e lo sport in generale (e questo lo abbiamo deciso sempre noi), non sono il posto in cui giudichiamo quali simboli ci piacciono e quali no. Sono il posto in cui abbiamo deciso che quei simboli non ci devono stare ed è proprio per questo motivo che fa scalpore tutte le volte che la vita reale, con tutto il suo carico politico, rompe quello spazio. Nel 2016 il judoka egiziano El Shehaby si è rifiutato di stringere la mano all’avversario israeliano Or Sasson a fine gara. È stato squalificato, nonostante il regolamento del judo non preveda la stretta di mano a fine gara ma solamente l’inchino, cosa che l’atleta africano aveva fatto. Ed è probabilmente giusto che sia così se vogliamo che questi gesti di rottura rimangano, appunto, di rottura. Come si fa a rompere qualcosa che non c’è più? Se non c’è regola, il non rispetto della stessa che valore politico ha? Ma noi non abbiamo fatto neanche questo: non abbiamo, cosa che forse … Leggi tutto